Rallegrarsi di

di amare, perché l'amore è vita che vince.
Sento che c'è un passaggio molto bello in questa tua parabola così densa, Gesù. Ed è un passaggio da cui mi pare necessario partire, perché fa vedere bene dov'è la contrapposizione tra la parola che tu regali e il nostro rifiuto di essa.
Il servo malvagio, quando si trova davanti al suo padrone, descrive con parole difficili il rapporto che lega loro due.
"Signore, so che sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso. Ho avuto paura...".
Dov'è la difficoltà di queste parole? Nel fatto che il servo malvagio si nega alla verità che lui stesso dice, se ne tira fuori. Infatti, le sue parole semplicemente descrivono una situazione in cui si trova ogni essere umano, anzi, ogni essere vivente che è sulla Terra. Siamo tutte e tutti in una situazione di dipendenza dalle vite e dalle azioni di chi mi ha preceduto nella vita e di chi mi accompagna in questa stessa vita. Così ciascuna e ciascuno di noi "miete dove non ha seminato e raccoglie dove non ha sparso", perché ciascuna e ciascuno di noi si trova, fin dal primo istante di vita nel momento del concepimento nell'utero di sua madre, in uno stato debitorio a cui non c'è rimedio, che non potrà compensare se non nel modo che tu, Gesù, suggerisci nella tua parabola.
Ecco che occorre ascoltarti con attenzione, perché siamo dentro l'amore che vive e fa vivere, tutta questa ricchezza messa in movimento dalle tue parole che insegnano ad amare, senza farsi spaventare dagli abissi che l'amore apre. Ascoltiamo e accogliamo la tua voce innamorata che regala la bellezza dell'amore che tu sei.
«Avverrà infatti come a un uomo che, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni. A uno diede cinque talenti, a un altro due, a un altro uno, secondo le capacità di ciascuno; poi partì. Subito colui che aveva ricevuto cinque talenti andò a impiegarli, e ne guadagnò altri cinque. Così anche quello che ne aveva ricevuti due, ne guadagnò altri due. Colui invece che aveva ricevuto un solo talento, andò a fare una buca nel terreno e vi nascose il denaro del suo padrone. Dopo molto tempo il padrone di quei servi tornò e volle regolare i conti con loro. Si presentò colui che aveva ricevuto cinque talenti e ne portò altri cinque, dicendo: "Signore, mi hai consegnato cinque talenti; ecco, ne ho guadagnati altri cinque". "Bene, servo buono e fedele - gli disse il suo padrone -, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone". Si presentò poi colui che aveva ricevuto due talenti e disse: "Signore, mi hai consegnato due talenti; ecco, ne ho guadagnati altri due". "Bene, servo buono e fedele - gli disse il suo padrone -, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone". Si presentò infine anche colui che aveva ricevuto un solo talento e disse: "Signore, so che sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso. Ho avuto paura e sono andato a nascondere il tuo talento sotto terra: ecco ciò che è tuo". Il padrone gli rispose: "Servo malvagio e pigro, tu sapevi che mieto dove non ho seminato e raccolgo dove non ho sparso; avresti dovuto affidare il mio denaro ai banchieri e così, ritornando, avrei ritirato il mio con l'interesse. Toglietegli dunque il talento e datelo a chi ha i dieci talenti. Perché a chiunque ha, verrà dato e sarà nell'abbondanza; ma a chi non ha, verrà tolto anche quello che ha. E il servo inutile gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti".».
A ciascun servo è data una quantità di talenti, cioè è riconosciuta una certa capacità di agire, per le sue capacità; secondo il padrone, è ovvio.
In questo senso son trattati esattamente allo stesso modo, che abbiano ricevuto cinque, due o un talento è lo stesso. Infatti tutti e tre sono reputati abili a investire quella certa quantità di talenti e a farla fruttare. Il padrone non si inganna e non inganna. Infatti non è il talento, una moneta romana che è una certa quantità d'oro, a essere la ricchezza che il padrone affida ai suoi servi, bensì la capacità di farlo fruttare. Il denaro, da solo, serve a nulla; se è usato con abilità e attenzione, con amore e rispetto, produce frutti di lavoro positivi, che servono a molte persone. Proprio ciò che il padrone chiede ai suoi servi (a cui "consegna i suoi beni"): far crescere le sue ricchezze, perché sono anche le ricchezze dei tre servi nominati nel racconto e degli altri e altre non nominati ma che sono sullo sfondo di queste azioni. 
Ma, allora, cos'è, concretamente, questa ricchezza del padrone che tu, Gesù, vuoi vederci moltiplicare a seconda di ciò che siamo e di ciò che ci è stato affidato?
La risposta a questa domanda è semplice, intuitiva.
La ricchezza che tu ci inviti a moltiplicare è l'amore.
Eppure la semplicità di questa risposta rivela un abisso, perché siamo sempre davanti alla domanda di cos'è l'amore che tu doni e dove lo troviamo nelle nostre vite, visto che il modello che fornisci sono la tua "passione e morte" coronate e gestite dal tuo trono di legno, la croce.
L'amore come dono di sé senza alcuna contropartita, quello dato gratuitamente, anche in mezzo agli errori e ai furti d'amore che facciamo e compiamo, ogni giorno. L'amore che cresce e si moltiplica perché abbiamo un gesto, un sorriso, una solidarietà di cui non ci rendiamo conto, che spesso neppure conosciamo, ma che fa, ha fatto, frutti d'amore, moltiplicando i risultati e i profitti dell'amore che è in noi e attorno a noi. Una esperienza, questa dell'amore, che è in noi e di cui, troppo spesso, abbiamo paura. Il servo malvagio lo sa e lo afferma come la sua motivazione di fondo nel rifiutare il padrone e il suo gesto di sfida che gli affida i suoi beni d'amore, perché vengano moltiplicati.
"Ho avuto paura e sono andato a nascondere il tuo talento sotto terra: ecco ciò che è tuo".
Chi ha paura dell'amore nasconde sotto terra la sua capacità di amare, in modo che non entri nella vita e non operi. Perché aprirsi all'amore è rischioso per le proprie sicurezze e certezze. Se cerchiamo di far crescere l'amore possiamo anche perdere tutto, anche quello che ci sembrava solo nostro e si rivela, invece, preso a debito o ereditato senza diritti. Allora pensiamo sia meglio ignorare l'offerta d'amore e nascondere sotto terra le nostre capacità di amare. Ma con l'amore non si può.
Nascondere l'amore significa scegliere l'odio e la morte. Significa mettersi contro te, Gesù, che sei venuto tra noi per guadagnarci, una a uno, alla vita di Dio Padre Madre, che ama senza smettere mai. Se nascondo l'amore faccio vedere solo l'odio. Come succede oggi con chi ha paura di accogliere persone migranti in fuga da orrori di morte, in cerca di una vita più buona, e così si fa vedere razzista, discriminatore, schiavista.
Non c'è alternativa all'amore, bisogna sempre amare; questo è ciò che ci dici oggi con questa parabola.
Allora, Gesù, aiutaci ad amare, in modo che possiamo moltiplicare l'amore che doni e farlo crescere in abbondanza di una vita felice, innocente, inerme, tutta piena della gioia dell'amore che sei e facciamo insieme.
ciao r

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