Il regno dei cieli

e le confuse società della Terra.
Mi piace molto, Gesù, questa parabola di Matteo, perché descrive bene la differenza di senso e di sapore che c'è nell'amore di D** verso di noi, verso di me, rispetto a come noi concepiamo l'amore e lo applichiamo nelle nostre relazioni umane, ahimè così confuse e, spesso, violente. La differenza percorre la parabola e, per altro amico mio, tutta la tua vita e tutte le tue parole in tutti i vangeli. Il regno dei cieli è costruito sull'attenzione ai bisogni e alle difficoltà, non sull'attenzione ai meriti e parte dal principio della custodia e della responsabilità verso l'altra e l'altro, non prende in considerazione per nulla un principio di giustizia basato sui meriti e sulle capacità. Custodisco perché amo come sono amato, non perché chi custodisco merita il mio amore. L'amore che ci proponi e ci chiedi è una sfida per noi e per le nostre mentalità idolatriche che non considerano l'amore gratuito come fondamento di tutto, ma solo lo scambio affettivo un qualche principio di merito. Allora ascoltiamo la tua voce.
«Il regno dei cieli è simile a un padrone di casa che uscì all'alba per prendere a giornata lavoratori per la sua vigna. Si accordò con loro per un denaro al giorno e li mandò nella sua vigna. Uscito poi verso le nove del mattino, ne vide altri che stavano in piazza, disoccupati, e disse loro: “Andate anche voi nella vigna; quello che è giusto ve lo darò”. Ed essi andarono. Uscì di nuovo verso mezzogiorno, e verso le tre, e fece altrettanto. Uscito ancora verso le cinque, ne vide altri che se ne stavano lì e disse loro: “Perché ve ne state qui tutto il giorno senza far niente?”. Gli risposero: “Perché nessuno ci ha presi a giornata”. Ed egli disse loro: “Andate anche voi nella vigna”. Quando fu sera, il padrone della vigna disse al suo fattore: “Chiama i lavoratori e da’ loro la paga, incominciando dagli ultimi fino ai primi”. Venuti quelli delle cinque del pomeriggio, ricevettero ciascuno un denaro. Quando arrivarono i primi, pensarono che avrebbero ricevuto di più. Ma anch'essi ricevettero ciascuno un denaro. Nel ritirarlo, però, mormoravano contro il padrone dicendo: “Questi ultimi hanno lavorato un’ora soltanto e li hai trattati come noi, che abbiamo sopportato il peso della giornata e il caldo”. Ma il padrone, rispondendo a uno di loro, disse: “Amico, io non ti faccio torto. Non hai forse concordato con me per un denaro? Prendi il tuo e vattene. Ma io voglio dare anche a quest’ultimo quanto a te: non posso fare delle mie cose quello che voglio? Oppure tu sei invidioso perché io sono buono?”. Così gli ultimi saranno primi e i primi, ultimi».
Solo con i primi contratti un salario. Agli altri offri solo lavoro e loro sanno che  saranno pagati, anche se non sanno come. La lamentela finale dei lavoratori a contratto, i primi, dal punto di vista umano è del tutto comprensibile: se fai lavorare anche questi trattali come hai contrattato con noi e dagli una quota del nostro salario oppure dai a noi una quota maggiore, in misura proporzionale a ciò che dai a loro. Ma tu non ragioni e non senti così: tutti i tuoi infiniti cuori d'amore sono aperti alle molteplici e infinite esperienze di dono e di aiuto, tutte assolutamente prive di considerazioni di merito, che non ti appassionano per nulla. Tu cerchi amore non il successo nell'azione e meriti nell'uso delle nostre capacità. Sembra crudele, ma è la logica, la necessità delle esperienze d'amore che ci porta a scegliere anche di morire e soffrire purché chi amiamo viva, stia bene e sia felice, scelta che è la tua vita, che tu hai portato fino in fondo, Gesù, fino alla croce. Scelta che vogliono fare anche molte di noi, come voglio fare io, amico e amore, con il tuo aiuto amante.
ciao r

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