Scegliere

di guarire e vivere, voler amare con tutte le nostre forze, per essere come te, amore presente.
Questo episodio, Gesù, si illustra da solo.
Chi è nel male e nella sofferenza spesso è incapace di sperare la guarigione, di chiederla e di invocarla, quando ci si presenta davanti.
Amare è aiutare, ma pure saper chiedere aiuto è una forma di amore. Nell'umiltà di sapersi mendicanti, bisognosi dell'amore presente attorno a noi, c'è anche la fonte di un amore fresco che risana. Ciò che questo paralitico sembra aver dimenticato, restando in attesa di un aiuto che non ha.
Ma poi arrivi tu.
Ascoltiamo Giovanni che parla di te, Gesù mio.
Gv 5,1-16
"Ricorreva una festa dei Giudei e Gesù salì a Gerusalemme. A Gerusalemme, presso la porta delle Pecore, vi è una piscina, chiamata in ebraico Betzatà, con cinque portici, sotto i quali giaceva un grande numero di infermi, ciechi, zoppi e paralitici.
Si trovava lì un uomo che da trentotto anni era malato. Gesù, vedendolo giacere e sapendo che da molto tempo era così, gli disse: «Vuoi guarire?». Gli rispose il malato: «Signore, non ho nessuno che mi immerga nella piscina quando l’acqua si agita. Mentre infatti sto per andarvi, un altro scende prima di me». Gesù gli disse: «Àlzati, prendi la tua barella e cammina». E all'istante quell'uomo guarì: prese la sua barella e cominciò a camminare.
Quel giorno però era un sabato. Dissero dunque i Giudei all’uomo che era stato guarito: «È sabato e non ti è lecito portare la tua barella». Ma egli rispose loro: «Colui che mi ha guarito mi ha detto: “Prendi la tua barella e cammina”». Gli domandarono allora: «Chi è l’uomo che ti ha detto: “Prendi e cammina”?». Ma colui che era stato guarito non sapeva chi fosse; Gesù infatti si era allontanato perché vi era folla in quel luogo.
Poco dopo Gesù lo trovò nel tempio e gli disse: «Ecco: sei guarito! Non peccare più, perché non ti accada qualcosa di peggio». Quell'uomo se ne andò e riferì ai Giudei che era stato Gesù a guarirlo. Per questo i Giudei perseguitavano Gesù, perché faceva tali cose di sabato.".

La tua guarigione ci coglie impreparati, ma così ci insegni l'umiltà di accettare, anzi, ancora di più, di scegliere e decidere noi il dono che ci fai di guarire dal nostro male, di essere guariti dalla paralisi di amare in cui ci troviamo. L'indifferenza all'amore e al nostro coinvolgimento nell'amore e nelle decisioni di amare è il nostro peccato più grave, il nostro fallimento peggiore.
Ci sono 60.000 bambini coinvolti in una epidemia di colera in Yemen, paese in cui è in atto lo sterminio di una intera popolazione da parte di un paese nostro alleato.
Cosa ci posso fare io? Io sono qui e non ho alcun potere, non posso oppormi. Resto indifferente e questa indifferenza fa completare quella strage e mi fa essere complice degli assassini, amico di chi uccide.
La paralisi dell'amore è il rifiuto di farmi amare, condizione prima per poter amare. Donare se stessi all'amore prevede che prima si sia ricevuto amore. Qualsiasi fiume prima di essere una foce ricca di vita e bellezza, è stato un corso, un bacino di terre e vite che sono nutrite da quel fiume e, prima ancora, una fonte o più fonti.
Per donare bisogna sapere e saper scegliere il proprio bisogno, la propria paralisi, quindi di essere persone povere, bisognose di ricevere doni, di avere regali immeritati, ma che ci consentono di agire nelle realtà di vita in cui siamo immerse e immersi.
Donando così quel me stesso che viene salvato.
ciao r

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