Amare è offrirsi al perdono, perché

solo Dio ama completamente, solo l'Eterno Amore non si tira mai indietro.
La spiegazione offerta da Luca per questa tua parabola, Gesù, è vera, ma mi sembra molto parziale.
Anche perché questa tua è una non parabola, ma sembra molto di più la descrizione di una scena familiare a tutti gli abitanti di Gerusalemme, e non solo.
«Gesù disse ancora questa parabola per alcuni che avevano l’intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri».
Meno male, Gesù Amico Signore, meno male che l'Eterno Amore, Dio Genitore, non mi toglie il mio peccato e me lo lascia sempre davanti: «Sì, le mie iniquità io le riconosco,
il mio peccato mi sta sempre dinanzi» (salmo 51,5); ma questo accade perché sei buono, e mi ami in un modo che non conosco, ma che capisco e scelgo solo perché lo sento nella mia carne come vita che vibra, come il mio cuore che pulsa.
Per cui non è soltanto il sentirsi giusti che tu qui ammonisci.
C'è anche, sono convinto, il sentirsi "convertiti" e "credenti", chiamati da Te a farci amare come noi non saremo mai capaci di amare. Destinati ,per Libera scelta dell'Eterno Amore, a vivere sempre in questo amore che ci sceglie. 
Ma dove dobbiamo amare con la stessa umiltà e semplicità con cui "mi" ama il Dio Genitore, l'Eterna Potenza che si umilia solo nell'amarmi con e insieme alle «mie iniquità» e dentro i miei poverissimi sforzi di mettermi al tuo seguito, nella tua strada, Gesù, dove so già che niente di male mi accade perché ci sei tu che mi proteggi.
Ascoltiamo la tua parola, Gesù, perché è la Potenza che ci parla dalla Sua Gloria. Tu, Gesù di Nazareth.
Lc 18,9-14
"Gesù disse ancora questa parabola per alcuni che avevano l’intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri: 
«Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l’altro pubblicano. 
Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé: “O Dio, ti ringrazio perché non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adùlteri, e neppure come questo pubblicano. Digiuno due volte alla settimana e pago le decime di tutto quello che possiedo”. 
Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: “O Dio, abbi pietà di me peccatore”. 
Io vi dico: questi, a differenza dell’altro, tornò a casa sua giustificato, perché chiunque si esalta sarà umiliato, chi invece si umilia sarà esaltato».".

Diciamo subito una cosa, Gesù, il fariseo sarà pure antipatico, almeno a me per tutta quella sua aria perfettina e soddisfatta di sé e dei suoi comportamenti, anche lasciando perdere il disprezzo.
Ma siamo onesti, amore mio: questo tuo fariseo è davvero uno che ci prova. E ci prova sul serio, anche se ha sviluppato un senso di orgoglio sbagliato, per la fatica che gli costa fare tutte le "cose giuste" che fa.
«O Dio, ti ringrazio perché non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adùlteri, e neppure come questo pubblicano. Digiuno due volte alla settimana e pago le decime di tutto quello che possiedo» e ha ragione a dirlo, lui ci prova.
E non dobbiamo neppure pensare che fa molto meglio il pubblicano a moltiplicare l'aggio che fa sulle tasse che riscuote. O magari pure peggio. Non è in questa contrapposizione il punto. 
Il primo punto è non sentirsi mai giusti, perché non è mai vero. Anzi, quando ci sentiamo giusti è proprio allora che stiamo sbagliando di più.
Lo dici tu, sempre qui in Luca (Lc 17,7-10).
«Chi di voi, se ha un servo ad arare o a pascolare il gregge, gli dirà, quando rientra dal campo: "Vieni subito e mettiti a tavola"? Non gli dirà piuttosto: "Prepara da mangiare, stringiti le vesti ai fianchi e servimi, finché avrò mangiato e bevuto, e dopo mangerai e berrai tu"? Avrà forse gratitudine verso quel servo, perché ha eseguito gli ordini ricevuti? Così anche voi, quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: "Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare"».
Fin qui tutto bene, però c'è qualcosa che avanza, c'è qualcosa di più che mi sta dentro e mi chiede di andare avanti.
Il tuo fariseo, Gesù, è l'uomo religioso consapevolmente soddisfatto delle sue pratiche religiose. 
La religione è una serie di azioni comandate, e lui le assolve tutte. Quindi è bravo e va premiato ed è sicuro che Dio lo premia, perché Dio può solo prendere atto della realtà del suo assolvimento dei compiti religiosi. Lui è uno giusto, uno che ha un credito quotidiano da riscuotere nei confronti di Dio e la sua preghiera è semplicemente questa messa in conto a Dio delle ore di lavoro fatte e della qualità di questo lavoro.
Lui è un capo che merita di essere capo.
Quanti di noi, credenti, ci sentiamo migliori solo perché siamo credenti? Come se la fede fosse un contenuto, un abito che indosso e di cui ho cura.
La fede, Gesù mio, oggi mi sembra solo il frutto della nostra relazione d'amore. Ho fede perché tu mi ami e mi testimoni il tuo amore in infiniti momenti d'amore e di gioia. In queste risonanze quotidiane della tua parola che mi suona e mi esegue come vuole, facendomi felice della tua abilità di amore. Che merito ne ho? nessuno. Anzi, ho un debito che cresce e che non potrò mai pagare. Ormai così sproporzionato rispetto a me che non me ne importa più nulla. Ormai rovescio la frase d'amore di Pietro «Signore, avvicinati a me perché sono un peccatore» (
Lc 5,8e ho un immenso bisogno della tua presenza d'Amore.
Così davvero la mia preghiera è finalmente cresciuta fino a raggiungere, in parte almeno, quella del tuo pubblicano «O Dio, abbi pietà di me peccatore».
E qui attenderti, fiducioso che vieni e ci ami.
ciao r

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