L'amore avvilito e la sua salvezza:


Gesù di Nazareth, il Cristo di Dio, l'Amato.

Abbiamo Mosè e i profeti, Gesù, è molto vero. 

Ma abbiamo urgente bisogno di te e di tutto il tuo amore.
Tu sei l'amore che ha vinto il mondo, cioè la capacità umana di avvilire l'amore e ogni bisogno d'amore, neppure negandolo, semplicemente ignorandolo e restando indifferente. 

Perché il bisogno d'amore non mi tocca e la mia aridità è sostituita dalla ricchezza, quel diavolo meridiano che ci fa morti prima di morire.

Lontani dalla vita e suoi nemici.

Ma ci sei tu e la tua voce innamorata.

Ascoltiamoti.

Lc 16,19-31
«C’era un uomo ricco, che indossava vestiti di porpora e di lino finissimo, e ogni giorno si dava a lauti banchetti. Un povero, di nome Lazzaro, stava alla sua porta, coperto di piaghe, bramoso di sfamarsi con quello che cadeva dalla tavola del ricco; ma erano i cani che venivano a leccare le sue piaghe.
Un giorno il povero morì e fu portato dagli angeli accanto ad Abramo. Morì anche il ricco e fu sepolto. Stando negli inferi fra i tormenti, alzò gli occhi e vide di lontano Abramo, e Lazzaro accanto a lui. Allora gridando disse: “Padre Abramo, abbi pietà di me e manda Lazzaro a intingere nell’acqua la punta del dito e a bagnarmi la lingua, perché soffro terribilmente in questa fiamma”.
Ma Abramo rispose: “Figlio, ricòrdati che, nella vita, tu hai ricevuto i tuoi beni, e Lazzaro i suoi mali; ma ora in questo modo lui è consolato, tu invece sei in mezzo ai tormenti. Per di più, tra noi e voi è stato fissato un grande abisso: coloro che di qui vogliono passare da voi, non possono, né di lì possono giungere fino a noi”.
E quello replicò: “Allora, padre, ti prego di mandare Lazzaro a casa di mio padre, perché ho cinque fratelli. Li ammonisca severamente, perché non vengano anch’essi in questo luogo di tormento”. Ma Abramo rispose: “Hanno Mosè e i Profeti; ascoltino loro”. E lui replicò: “No, padre Abramo, ma se dai morti qualcuno andrà da loro, si convertiranno”. Abramo rispose: “Se non ascoltano Mosè e i Profeti, non saranno persuasi neanche se uno risorgesse dai morti”
».

Gesù, insieme alla parabola dei talenti di Matteo (Mt 25,14-30), questa è una delle parabole più dure e belle che nella tua vita ci hai tramandato.

La potremo chiamare “la storia dell’amore avvilito”.

C’è una scena banale, esemplare proprio nella sua completa banalità.
La vita di un ricco (vestiti di porpora e lino finissimo, lauti banchetti) e la vita di un povero, alla porta della vita del ricco (coperto di piaghe, bramoso di sfamarsi con quello che cadeva dalla tavola del ricco), messe semplicemente vicine.

Il ricco è uno qualsiasi, praticamente un “topos letterario”; invece il povero è “Lazzaro”, un uomo con un nome significativo, (‘Eliy‘ezer, “il mio Dio è sostegno”), ed un abbozzo forte di personalità, che lo fa intensamente attento al ricco, e amico solo dei cani del ricco, i soli che dividono con Lazzaro il cibo che eccede quella mensa così ben servita e che curano le piaghe del loro commensale (ma erano i cani che venivano a leccare le sue piaghe).

La scena è dominata da una attenzione unilaterale.

Lazzaro è attento al ricco, che è privo di ogni interesse verso Lazzaro.
Non c’è bisogno di essere sospettosi, per pensare che l’attenzione di Lazzaro verso il ricco sia piena di ingiustizie e risentimenti. Sia piena di violenza e rabbia.
Il ricco è ricco, invece lui è immerso nella difficoltà angosciante di un normalità terribile e difficilissima, quietata solo dai cani. I suoi soli amici, che non fanno commenti e non lo disprezzano. Ma lo curano.

Gesù, tu non attribuisci ai personaggi del tuo racconto connotati etici. Sei molto “materialista” nella tua indicazione narrativa e manchi di ogni giudizio etico.

Semplicemente, come succede ovunque nel mondo a ogni ora del giorno, anche adesso e pure se oggi i poveri sono allontanati dalle porte dei ricchi, mentre ai tuoi tempi erano lì, a cercare cibo e attenzioni e ricevendo solo cibo, ma insieme ai cani. Senza alcun amore, senza la minima attenzione, con una indifferenza che avvilisce la speranza e la uccide.

Il ricco è ricco, il povero è disperato.

Questa situazione si rovescia, drammaticamente, nella vita dopo la morte.

Anche qui manca ogni condanna etica.

L’ex ricco è sempre “figlio di Abramo”, che per lui all'inferno è sempre un padre-madre accogliente (εἰς τὸν κόλπον Ἀβραάμ nel seno o grembo di Abramo e non "accanto", com'è nella traduzione italiana) e lo riconosce come figlio, anche fra i tormenti.

Il dialogo a tre che si instaura tra Abramo, il ricco e Lazzaro, è la parte drammatica e coinvolgente di tutta questa parabola, quella da ascoltare con cura.

Il ricco riconosce Lazzaro e prega Abramo, che rappresenta l’Autorità divina paterna e materna, di mandarglielo per avere sollievo.
Desidera almeno la consolazione del sollievo di sapere e verificare che c’è chi si occupa di te. Quell'attenzione amorosa che a Lazzaro è stata negata.

La domanda del ricco è lecita. 

Infatti la risposta di Abramo si colloca su un piano diverso da quello dove si mette il dannato: “Figlio, ricòrdati che, nella vita, tu hai ricevuto i tuoi beni, e Lazzaro i suoi mali; ma ora in questo modo lui è consolato, tu invece sei in mezzo ai tormenti. Per di più, tra noi e voi è stato fissato un grande abisso: coloro che di qui vogliono passare da voi, non possono, né di lì possono giungere fino a noi”.

La richiesta è lecita.
Ma arriva tardi. A quel punto i giochi son fatti.

Il ricco ha ciò che si è costruito in vita e il povero Lazzaro è compensato per ciò che gli è stato tolto in vita. Un rovesciamento dantesco, Gesù mio.

Ma esattamente come per i servi della parabola dei talenti. Ciò che hai fatto e provato a fare nella vita, in termini d'amore, e ben oltre il successo o fallimento umani che hai avuto, ti viene riconosciuto davanti a Dio, come conferma ed ampliamento enorme dell'amore ottenuto investendo e usando i doni d’amore ricevuti.

Doni d'amore che, nel caso del ricco e di Lazzaro, come di ciascuna e ciascuno umani attorno a noi, ignoriamo. Ma qualcosa hanno avuto.

La vita mortale, questa esistenza qui, è il momento di guadagnarsi un posto εἰς τὸν κόλπον Ἀβραάμ nel seno o grembo di Abramo, e il problema non è  etico, ma del tutto di altro genere.
Il problema è se riconosci, e quindi ami, chi ti sta accanto e intorno, non se sei ricco o povero. 

Il problema è se investi i talenti d’amore che hai ricevuto. Pochi o molti che siano.
 

Lo dice il seguito del racconto.

 

Il ricco chiede che Lazzaro risorga per ammonire i suoi cinque fratelli, che se la stanno spassando come lui e, come lui, nell’indifferenza più radicale verso chi hanno intorno.

La risposta di Abramo è lapidaria, così essenziale da essere centrale nella nostra vita.

Hanno Mosè e i Profeti; ascoltino loro”.

Abbiamo già tutto per poter amare chi ci sta intorno e per farci amare da chi abbiamo accanto, sempre partendo dai risentimenti dagli errori, dalle difficoltà nostre e di chi ci vive vicino ed è abbandonata, abbandonato da tutti, salvo che dai cani, che dimostrano di saper amare più di noi, troppo spesso.

Abbiamo già tutto per sapere la verità: dalla Torah di Israele alla testimonianza di Siddhārtha Gautama, al Corano, alle riflessioni filosofiche da Platone fino a Derridà, alle scienze fisico-matematiche.
Abbiamo già tutta la verità detta e spiattellata davanti a noi e dentro di noi: dobbiamo solo ascoltarla.

Abbiamo Mosè e i profeti.

Ma noi, qui
attorno a me e con te, Gesù mio, qui noi abbiamo molto di più.

Abbiamo te.

Dio incarnato, vissuto tra noi, Verbo creatore amante e non giudice, che è morto per vincere l’Inferno e vuotarlo dei nostri peccati.

Allora noi ti crediamo perché, e solo perché crediamo già che la verità dell’amore sia possibile tra noi e, quindi, sia reale e forte.
Perché tu risorto dai morti testimoni Dio Amore vivente tra di noi. Testimoni l'amore che impedisce ogni avvilimento e indifferenza dell'amarsi, testimoni quel Dio amante, e vincitore in amore.

Vincitore per noi. Per darci la vita e darcela in abbondanza.

Ciao r

 


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