Il mistero della misericordia di Dio

è di accettarla. I domenica di Pasqua 2019 o della Divina Misericordia.

Siamo alla domenica della Divina Misericordia e noi non sappiamo che cosa significa: amare fino alla fine. E quando qualcuno di noi osa amare, ci prova sul serio, dà scandalo e sembra essere inaccettabile, da rifiutare.
In questa domenica siamo alla prima conclusione del Vangelo di Giovanni.
Una pagina bellissima, aperta dall’invito alla pace che Gesù pronuncia e chiusa dal dono della vita che è Gesù e la sua presenza tra di noi. Ciò che dobbiamo trasmettere: Gesù è un dono di vita e di pace per chiunque, specie per chi ci è nemico e noi dobbiamo amare.

Nell’Apocalisse, che è la seconda lettura di questa domenica, un Gesù trionfante dichiara a Giovanni: «Non temere! Io sono il Primo e l’Ultimo, e il Vivente. Ero morto, ma ora vivo per sempre e ho le chiavi della morte e degli inferi. Scrivi dunque le cose che hai visto, quelle presenti e quelle che devono accadere in seguito».
Il nostro punto di partenza è non temere, perché Gesù ha vinto ed ha, è la chiave della morte e degli inferi. Dio è con noi e nulla possiamo, o dobbiamo, temere.

Facciamoci una domanda.
Chi di noi sa che cosa è la guerra civile in Sud Sudan? Che cosa 400.000 mila morti e 2.000.000 di profughi nei paesi vicini? Cosa ci importa, a noi, di questa guerra?

L’11 Aprile 2019 papa Francesco si è inginocchiato davanti ai leader (cristiani per la cronaca, ma non è molto importante) del Sud Sudan coinvolti nella sanguinosa guerra civile che ha provocato morti, profughi e molto di più tra le vite delle persone travolte da quella guerra. È stato un modo coraggioso per amare e per sollecitare alla pace che solo l’amore e le sue consapevoli umiliazioni può donare, e che solo così diventa vita.

Leggiamo questo gesto scandaloso e apparentemente provocatore di papa Francesco alla luce del Vangelo di Giovanni che abbiamo davanti.

 

Gv 20,19-31
La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!». Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore.
Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi». Detto questo, soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati».
Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro quando venne Gesù. Gli dicevano gli altri discepoli: «Abbiamo visto il Signore!». Ma egli disse loro: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo».
Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c’era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, stette in mezzo e disse: «Pace a voi!». Poi disse a Tommaso: «Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!». Gli rispose Tommaso: «Mio Signore e mio Dio!». Gesù gli disse: «Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!».
Gesù, in presenza dei suoi discepoli, fece molti altri segni che non sono stati scritti in questo libro. Ma questi sono stati scritti perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome
”.

Gesù arriva e porta la pace. La pace che dona lui, non quella che cerchiamo noi. Infatti questa pace è, immediatamente, arricchita del gesto più umiliante che Gesù può fare.

Mostrare le sue cicatrici.

Noi siamo salvati da un Dio che vive nell’Eterno con un corpo di carne e sangue e che, in questo corpo di carne e sangue, ha le cicatrici della morte umiliante e tremenda che gli abbiamo inflitto.

La sera di quel giorno, … , venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!». Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco”.

A questo primo gesto segue il rinnovato dono della pace e la frase famosa su cui sono stati costruiti molti inganni ed errori.

«Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati». Gesù stesso dona questo Spirito Santo e ce lo dona in funzione del perdono, cioè in funzione di quell'amore che ama anche chi ci è nemico, che non è, quindi, una amministrazione penale o un controllo di frontiera, ma è soltanto donarsi, amare come Gesù ci ha amato: «Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga; perché tutto quello che chiederete al Padre nel mio nome, ve lo conceda. Questo vi comando: che vi amiate gli uni gli altri». (Gv 15,16-17)

Gesù non ci appartiene, non è una nostra proprietà, né è il nostro “eroe eponimo”, il grande personaggio da cui noi prendiamo il nome.
Gesù è Dio umiliatosi nella nostra carne e sangue, vivo con noi e morto come i peggiori tra noi. Gesù è il Risorto che ci dona la pace, la serenità e l’accoglienza verso tutte e tutti, quelle cose, quei comportamenti e atteggiamenti che, per esempio, abbiamo sperimentato con Arturo Paoli. O con molte altre persone che hanno seguito Gesù.

Perché la pace che ci serve è quella pace di Dio che non finisce mai e non ha mai conclusione, e porta sempre frutto, proprio perché non è un lavoro nostro, ma è un dono gratuito di Dio.

Contro questa pace è l’incredulità di Tommaso.

Tommaso non crede a Gesù Risorto e quindi condanna papa Francesco

«Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo».

Ma Gesù non ci appartiene, quindi non dobbiamo chiedere prove di verità e di fedeltà. Prove che soddisfino il nostro orgoglio. Anche se con Tommaso Gesù, e solo per amore verso questo suo amico ostinato, accetta la sfida e si umilia ancora.

«Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!».

Essere credenti senza vedere, senza avere le prove, se non quelle dell’amore che riesci a donare e che tu non possiedi, che non è tuo, perché il tuo amore è così piccolo che finisce subito. Ecco, essere credenti così ti permette quell’atto d’amore ai limiti dell’orgoglio che è inginocchiarsi davanti a degli assassini per suggerire l’unica via per la pace. Amare con l’amore di Dio, fino all’umiliazione e alla sconfitta.

Siamo capaci di fare così? O siamo come Tommaso, increduli e ostinati?

Ciao r

 


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