A parlar d'amore...
... ti ascoltiamo, sempre. Perché tu sei Amore.
«C’era
un uomo ricco, che indossava vestiti di porpora e di lino finissimo,
e ogni giorno si dava a lauti banchetti. Un povero, di nome Lazzaro,
stava alla sua porta, coperto di piaghe, bramoso di sfamarsi con
quello che cadeva dalla tavola del ricco; ma erano i cani che
venivano a leccare le sue piaghe.
Un giorno il povero morì e fu portato dagli angeli accanto ad Abramo. Morì anche il ricco e fu sepolto. Stando negli inferi fra i tormenti, alzò gli occhi e vide di lontano Abramo, e Lazzaro accanto a lui. Allora gridando disse: “Padre Abramo, abbi pietà di me e manda Lazzaro a intingere nell’acqua la punta del dito e a bagnarmi la lingua, perché soffro terribilmente in questa fiamma”.
Ma Abramo rispose: “Figlio, ricordati che, nella vita, tu hai ricevuto i tuoi beni, e Lazzaro i suoi mali; ma ora in questo modo lui è consolato, tu invece sei in mezzo ai tormenti. Per di più, tra noi e voi è stato fissato un grande abisso: coloro che di qui vogliono passare da voi, non possono, né di lì possono giungere fino a noi”.
E quello replicò: “Allora, padre, ti prego di mandare Lazzaro a casa di mio padre, perché ho cinque fratelli. Li ammonisca severamente, perché non vengano anch’essi in questo luogo di tormento”. Ma Abramo rispose: “Hanno Mosè e i Profeti; ascoltino loro”. E lui replicò: “No, padre Abramo, ma se dai morti qualcuno andrà da loro, si convertiranno”. Abramo rispose: “Se non ascoltano Mosè e i Profeti, non saranno persuasi neanche se uno risorgesse dai morti”».
Un giorno il povero morì e fu portato dagli angeli accanto ad Abramo. Morì anche il ricco e fu sepolto. Stando negli inferi fra i tormenti, alzò gli occhi e vide di lontano Abramo, e Lazzaro accanto a lui. Allora gridando disse: “Padre Abramo, abbi pietà di me e manda Lazzaro a intingere nell’acqua la punta del dito e a bagnarmi la lingua, perché soffro terribilmente in questa fiamma”.
Ma Abramo rispose: “Figlio, ricordati che, nella vita, tu hai ricevuto i tuoi beni, e Lazzaro i suoi mali; ma ora in questo modo lui è consolato, tu invece sei in mezzo ai tormenti. Per di più, tra noi e voi è stato fissato un grande abisso: coloro che di qui vogliono passare da voi, non possono, né di lì possono giungere fino a noi”.
E quello replicò: “Allora, padre, ti prego di mandare Lazzaro a casa di mio padre, perché ho cinque fratelli. Li ammonisca severamente, perché non vengano anch’essi in questo luogo di tormento”. Ma Abramo rispose: “Hanno Mosè e i Profeti; ascoltino loro”. E lui replicò: “No, padre Abramo, ma se dai morti qualcuno andrà da loro, si convertiranno”. Abramo rispose: “Se non ascoltano Mosè e i Profeti, non saranno persuasi neanche se uno risorgesse dai morti”».
Lc
16,19-31
Brano
famoso, Gesù. Sulla misericordia e sulla sua mancanza. Sulla
giustizia di D** basata sulla sua decisione di “fare i conti”
solo alla fine, soltanto “dopo”. Qui c’è un Padre che
condanna, un re che non da spazio a nessuna misericordia oltre questa
vita. Ma che – anche in questa vita – non ricorre ad altri
strumenti di conversione e di aiuto diversi da quelli che sono già a
disposizione di tutti.
Qui,
mi dicono, c’è un discorso sull’inferno e sulla sua
irreparabilità. Ma c’è anche un discorso sul fatto che “noi
sappiamo”, perché abbiamo “Mosè e i profeti” e dobbiamo
essere capaci di credere a loro.
Sento
un problema. Ma non è il discorso duro sull’Inferno. L’inferno
merita discorsi duri e soltanto discorsi molto duri possono
accompagnare messaggi e parole sull’inferno.
Neppure
è sulla irreparabilità della salvezza, qui e ora, in questa vita,
cioè. È vero, abbiamo “Mosè e i profeti”, abbiamo te e la tua
parola e tu “sei risorto dai morti”.
Ma
se non crediamo a Mosè e ai profeti neppure crediamo a te, che sei
risorto dai morti.
Sento
un problema, tuttavia, e allora provo ad ascoltarti.
Tu,
Gesù, racconti una storia.
Banale.
C’è
un ricco, della cui ricchezza nulla sappiamo, e che “se ne frega”
altamente e bellamente di tutto quanto c’è attorno a lui, salvo
che della sua ricchezza e, sopratutto, che se ne frega del povero
disgraziato che è lì, ai piedi della sua ricca tavola, e ha
soltanto cani per amici e aiuti.
Lo
sai anche tu che è una storia banale. Infatti non le dedichi alcuna
attenzione.
Ti
serve solo come punto di partenza.
Perché
la storia vera arriva soltanto dopo.
Lazzaro
muore e muore anche il ricco. Legati dalla stessa scelta di D** per
esistenze contrapposte legate in vita e in morte, come spesso capita.
E
qui avviene il rovesciamento delle sorti. Rovesciamento ineguale,
come ineguale fu la situazione di vita in cui i due si trovarono
legati.
Infatti
allo spazio concluso della vita dove alla ricchezza di uno è
intrecciata la povertà e la miseria dell’altro si alterna uno
spazio di durata indefinita dove i tormenti sono esattamente
contrapposti ai beni ed altrettanto esattamente accentuati.
Il
ricco è all’inferno e il povero è nella gioia di D**, cioè con
Abramo che quella gioia rappresenta.
Che
cosa ci racconti con questa storia?
Facciamo
attenzione al dialogo nell'Aldilà.
Il
ricco all’inferno e tra i dolori del fuoco vede, lontano, Lazzaro e
Abramo.
Allora
chiede ad Abramo se Lazzaro gli può bagnare la lingua con un dito
intinto nell’acqua. Richiesta strana, Gesù.
Infatti
il ricco non si è mai curato di Lazzaro; allora perché costui
dovrebbe portare una goccia d’acqua al ricco? Qual’è la ragione
della richiesta? Solo perché lo conosce?
Probabilmente
è solo per questo. Si conoscono e allora, nel nome di quella con
conoscenza, Lazzaro può aiutare il ricco.
Così
pensa il ricco e così chiede ad Abramo. Ma Abramo rifiuta senza
consultare Lazzaro, e rifiuta per due buone ragioni. La posizione dei
due nell'Aldilà è il prezzo pagato per le condizioni di vita in
questo spazio di vita. In più tra le due condizioni c’è un
“grande abisso” che non può essere superato. Ogni tentativo o
speranza sono inutili.
Allora il ricco chiede che vengano aiutati i suoi cinque fratelli, che sono esattamente come lui, e di mandargli Lazzaro ad ammonirli.
Allora il ricco chiede che vengano aiutati i suoi cinque fratelli, che sono esattamente come lui, e di mandargli Lazzaro ad ammonirli.
Ma
la risposta di Abramo è durissima.
“Hanno
Mosè e i Profeti; ascoltino loro”
C’è
tutta la Rivelazione e tutta la ricerca umana di D** che
testimoniano, in abbondanza, che cosa deve governare i rapporti tra
gli esseri umani.
Il
famoso doppio comandamento, ricordato in Matteo 22,
37-40: «Amerai il Signore Dio tuo
con tutto il cuore, con tutta la tua anima
e con tutta la tua mente. Questo è il più grande e il primo dei
comandamenti. E il secondo è simile al primo: Amerai
il prossimo tuo come te stesso. Da
questi due comandamenti dipendono tutta la Legge e i Profeti»
Tutti
sappiamo benissimo che cosa dobbiamo fare.
Non
è la ricchezza di per sé a dannare il ricco. Della sua ricchezza tu
non dici nulla. Nella tua parola e nelle tue parabole la ricchezza,
come la povertà, sono un “dato di fatto”, un condizione del
mondo che non può essere cambiata.
«I
poveri infatti li avete sempre con voi, ma non sempre avete me»
(Gv 12, 8).
Quello che, invece,
non è ovvio è come “si ama” il “prossimo”. Come, cioè ci
amiamo tra di noi e indipendentemente dalla nostre condizioni
economiche, sociali, culturali, personali, sessuali, di genere e
affettive.
Se amo il prossimo
come “me stesso” e se amo me stesso con tutta l’intensità che
ci vuole per amare D**, infinito amante, allora va tutto bene e non
ci sono infermi o pene per me.
Se invece non mi
amo, ho paura di D**, seppellisco il suo talento sotto terra perché
sono convinto che è un padrone ingiusto ed esigente, se mi ribello
alla mia condizione umana, supponendo in essa una dannazione già in
atto, allora l’inferno esiste ed esiste per me già qui, già in
questa vita.
Infatti il ricco non
sopravvive a Lazzaro, perché la sua vita è malata, in modo diverso
da quella di Lazzaro, ma è malata a morte anch’essa.
Se non ami, se non
dividi quel che hai con chi non ne ha, fai della tua vita, e della
vita di chi dipende da te, un inferno. Inferno che prosegue anche
dopo, qualsiasi cosa succeda “dopo”.
Perché se uno non dà retta a “Mosè e i profeti”, cioè al doppio comandamento dell’amore, allora non dà retta a D** stesso neppure se questo gli compare davanti in tutta la sua potenza e bellezza.
Perché se uno non dà retta a “Mosè e i profeti”, cioè al doppio comandamento dell’amore, allora non dà retta a D** stesso neppure se questo gli compare davanti in tutta la sua potenza e bellezza.
Perché noi siamo
liberi e in questo spazio di libertà ci giochiamo tutto sull’amore.
E non importa quanti errori facciamo amando.
A chi ha amato molto
molto viene perdonato (Lc 7, 47), perché è nell’amore. Ma a
chi non ama nulla può essere perdonato, perché manca la materia
prima del perdono, l’amore.
Così il ricco non è
condannato da D** all’inferno, ma è lui che si sceglie l’inferno
dove vivere per tutta l’eternità. E lo sceglie qui, in questa
vita.
Infatti quando il
ricco capisce la situazione chiede un intervento straordinario perché
i suoi fratelli siano convinti.
Ma la nostra libertà prevede che non è possibile alcun “intervento straordinario”.
Ma la nostra libertà prevede che non è possibile alcun “intervento straordinario”.
Manca qualsiasi voce
che ci parla nella notte e sono assenti spiriti di ogni genere che ci
suggeriscono soluzioni. Siamo qui e ci siamo ora e “dobbiamo
amare”, perché l’unica cosa bella che sappiamo fare è amare.
Che poi è anche
l’unica nostra attività feconda di figlie e di vite sempre nuove.
Ma dobbiamo
ascoltare “Mosè e i profeti”.
Allora che cosa sono
“Mosè e i profeti”?
Ecco.
Questa, secondo me,
è una domanda sbagliata, perché se non ascolto “Mosè e i
profeti” non ascolto neppure D** che si incarna, muore per me,
perché mi ama, e quindi – in virtù di questo amore – risorge
dai morti.
Tu completi e
concludi, tu includi, Gesù.
Non mandi via mai nessuna e nessuno. Ma avverti che venirti dietro significa amare e per amare occorre essere leggeri.
Non mandi via mai nessuna e nessuno. Ma avverti che venirti dietro significa amare e per amare occorre essere leggeri.
Se ho troppi pesi non amo.
Neppure se ti vedo
risorgere dai morti.
Grazie Gesù.
Perché
mi hai regalato il tuo amore ed è questo dono che mi fa vivere.
Ciao r
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