il bel pastore e l'odore.
L'odore delle pecore, beninteso.
«Egò eimi o' poimén o' kalòs». Questo in greco translitterato.
In greco originale si vede e si legge così «ἐγώ εἰμι ὁ ποιμὴν ὁ καλός».
In inglese suona e si vede in questo modo: «I am the good shepherd».
Good, buono, come in italiano o in spagnolo ("buen" ... «Yo soy el buen pastor»).
Potremo continuare... ma è universale e uniforme, questa traduzione.
Nella modernità, forse in tutta la storia della grande Chiesa, queste tue, sei il buon pastore.
Invece nella versione di Giovanni sei il bel pastore, il quale proprio (soltanto?) perché è bello è buono. Ed è bello e buono perché si occupa delle pecore, e le ama una a una. Non come gregge, ma una a una.
Non so più se è una metafora audace, ormai ci siamo abituati.
Ma vorrei provare ad ascoltarla un poco, libera da qualcuna - almeno - di tutte le cose che ci abbiamo messo sopra noi nei duemila anni di "questa via" dietro alla tua Croce e alla tua Resurrezione.
Allora ascoltiamo.
Gv 10,11-18
«Io sono il buon pastore. Il buon pastore dà la propria vita per le pecore. Il mercenario – che non è pastore e al quale le pecore non appartengono – vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge, e il lupo le rapisce e le disperde; perché è un mercenario e non gli importa delle pecore.
Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, così come il Padre conosce me e io conosco il Padre, e do la mia vita per le pecore. E ho altre pecore che non provengono da questo recinto: anche quelle io devo guidare. Ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge, un solo pastore.
Per questo il Padre mi ama: perché io do la mia vita, per poi riprenderla di nuovo. Nessuno me la toglie: io la do da me stesso. Ho il potere di darla e il potere di riprenderla di nuovo. Questo è il comando che ho ricevuto dal Padre mio».
Una domanda, Gesù mio.
«Questo è il comando che ho ricevuto dal Padre mio».
«Questo».
Quale?
Ci sono almeno tre comportamenti, messi in sequenza, certo, ma sono tre e non uno.
L'amore tra te e noi, le tue pecore, amore che dipende da te e solo da te (è il pastore che conosce le pecore e le ha scelte a una a una, la conoscenza e l'amore delle pecore per il pastore viene dopo).
Le "altre" pecore che "ascolteranno" la tua voce e devi guidare pure loro.
La tua vita, che solo tu doni e riprendi.
Gesù, il comando del Padre riguarda "quale" di queste tre cose?
Ma, dato che queste tre cose sono strettamente collegate [non ci puoi amare se non ami tutte le pecore che ti sono state affidate, e in specie le straniere di quell'altro ovile, e non puoi amare se non puoi donare la tua vita, e questa non la puoi dare se non sei capace di riprenderla, perché vinci la morte in quanto l'amore tra te e D** è infinitamente (= senza alcun limite e/o conclusione, ma pure con la pienezza indicibile dei suoi attributi) più forte della morte] ci possiamo accontentare.
Il comando di D** - che tu chiami Padre - è di amare.
Tu devi amare perché solo così, attraverso di te, noi possiamo amare.
Chi ti ama lo fa perché conosce l'amore, il tuo amore e quindi perché così ama le sorelle e i fratelli attorno a lei o lui.
Se qualcuna o qualcuno non ama chi è vicino e vede, allora non ama neppure te e tantomento D**, che non vede.
Ma, allora, perché "bello" e perché tradurre "bello" con "buono"?
Tu sei bello, Gesù, e tu ci appartieni solo perché sei bello.
Ma la bellezza non si può conservare, non può essere nascosta.
La bellezza si vede, mostra necessariamente sè con potenza e semplicità.
Quanto dovevi essere bello, Gesù mio, e quanto doveva essere bello (e buono!) stare lì con te, anche semplicemente a guardarti.
Secondo me, i tuoi discepoli maschi hanno perso alcune (molte?) delle cose che dicevi perché si sono incantati a guardarti e non pesavano le singole cose che tu raccontavi. Le tue discepole donne si sono ricordate molte più cose, sono sicuro, ma non le hanno scritte.
Eri bello anche per chi ti odiava e aveva paura di te.
Così ti hanno condannato alla crocifissione perché era una pena umiliante, dove - nella loro esperienza - ogni bellezza spariva, inghiottita dalla oscenità irreale e brutale di quella morte. Volevano nascondere la tua bellezza: la bellezza pura, semplice; la bellezza che si dona e così ha l'odore di chi ama.
La bontà è diversa, specie se la stacchiamo dalla bellezza.
Se stanno insieme la bontà è l'interfaccia etico della bellezza.
Dal punto di vista dei nostri comportamenti ciò che si vede e si sente bello è pure buono e ciò che nei nostri comportamenti è buono è pure bello.
Ma se stacchiamo bellezza da bontà stacchiamo ciò che si vede ed è inevitabile, è così bellezza (perché si vede!), da ciò che è bontà e così dev'essere, ma spesso non si vede, perché è nascosto, perché opera nel silenzio, nell'ombra.
Così la bontà non si vede e spesso non è bella, e la bellezza (che si vede!) non è buona e quindi mente.
C'è qualcosa di troppo storto in questo.
Tu, semplicemente, ci fai vedere che non è vero.
Tu sei il bel pastore e la tua azione è immediatamente buona. La tua bontà agisce ed è all'ombra casta e semplice della tua bellezza travolgente, lussuosa.
Ma come facciamo a capirlo anche in tutte e tutti noi? come facciamo a distinguere, in noi, la bellezza che si vede e la bontà che si assaggia?
Credo che abbiamo un solo modo, Gesù mio, modo che tu suggerisci e che papa Francesco ci ha suggerito.
Ascoltiamo l'odore.
Se il pastore ha l'odore delle pecore è un buon pastore, e così se la pecora ha l'odore del pastore è una buona pecora. Allora entrambe sono belle, e buone. Sanno di terra, sangue, carne, cibi ed escrementi, acqua e lacrime, sanno di vita.
Altrimenti no.
Così, se sentiamo odori troppo perfetti, troppo puliti, odori che non sporcati dalla vita e dai suoi cibi ed escrementi, allora questi odori perfetti sono demoni e altri mostri, robe ributtanti che ci dividono, ci mostrano la morte come unica strada.
In questo caso bisogna soltanto fuggire, finchè non ci ritrovi.
Tu, Gesù, il bel pastore che ci ama.
ciao r
«Egò eimi o' poimén o' kalòs». Questo in greco translitterato.
In greco originale si vede e si legge così «ἐγώ εἰμι ὁ ποιμὴν ὁ καλός».
In inglese suona e si vede in questo modo: «I am the good shepherd».
Good, buono, come in italiano o in spagnolo ("buen" ... «Yo soy el buen pastor»).
Potremo continuare... ma è universale e uniforme, questa traduzione.
Nella modernità, forse in tutta la storia della grande Chiesa, queste tue, sei il buon pastore.
Invece nella versione di Giovanni sei il bel pastore, il quale proprio (soltanto?) perché è bello è buono. Ed è bello e buono perché si occupa delle pecore, e le ama una a una. Non come gregge, ma una a una.
Non so più se è una metafora audace, ormai ci siamo abituati.
Ma vorrei provare ad ascoltarla un poco, libera da qualcuna - almeno - di tutte le cose che ci abbiamo messo sopra noi nei duemila anni di "questa via" dietro alla tua Croce e alla tua Resurrezione.
Allora ascoltiamo.
Gv 10,11-18
«Io sono il buon pastore. Il buon pastore dà la propria vita per le pecore. Il mercenario – che non è pastore e al quale le pecore non appartengono – vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge, e il lupo le rapisce e le disperde; perché è un mercenario e non gli importa delle pecore.
Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, così come il Padre conosce me e io conosco il Padre, e do la mia vita per le pecore. E ho altre pecore che non provengono da questo recinto: anche quelle io devo guidare. Ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge, un solo pastore.
Per questo il Padre mi ama: perché io do la mia vita, per poi riprenderla di nuovo. Nessuno me la toglie: io la do da me stesso. Ho il potere di darla e il potere di riprenderla di nuovo. Questo è il comando che ho ricevuto dal Padre mio».
Una domanda, Gesù mio.
«Questo è il comando che ho ricevuto dal Padre mio».
«Questo».
Quale?
Ci sono almeno tre comportamenti, messi in sequenza, certo, ma sono tre e non uno.
L'amore tra te e noi, le tue pecore, amore che dipende da te e solo da te (è il pastore che conosce le pecore e le ha scelte a una a una, la conoscenza e l'amore delle pecore per il pastore viene dopo).
Le "altre" pecore che "ascolteranno" la tua voce e devi guidare pure loro.
La tua vita, che solo tu doni e riprendi.
Gesù, il comando del Padre riguarda "quale" di queste tre cose?
Ma, dato che queste tre cose sono strettamente collegate [non ci puoi amare se non ami tutte le pecore che ti sono state affidate, e in specie le straniere di quell'altro ovile, e non puoi amare se non puoi donare la tua vita, e questa non la puoi dare se non sei capace di riprenderla, perché vinci la morte in quanto l'amore tra te e D** è infinitamente (= senza alcun limite e/o conclusione, ma pure con la pienezza indicibile dei suoi attributi) più forte della morte] ci possiamo accontentare.
Il comando di D** - che tu chiami Padre - è di amare.
Tu devi amare perché solo così, attraverso di te, noi possiamo amare.
Chi ti ama lo fa perché conosce l'amore, il tuo amore e quindi perché così ama le sorelle e i fratelli attorno a lei o lui.
Se qualcuna o qualcuno non ama chi è vicino e vede, allora non ama neppure te e tantomento D**, che non vede.
Ma, allora, perché "bello" e perché tradurre "bello" con "buono"?
Tu sei bello, Gesù, e tu ci appartieni solo perché sei bello.
Ma la bellezza non si può conservare, non può essere nascosta.
La bellezza si vede, mostra necessariamente sè con potenza e semplicità.
Quanto dovevi essere bello, Gesù mio, e quanto doveva essere bello (e buono!) stare lì con te, anche semplicemente a guardarti.
Secondo me, i tuoi discepoli maschi hanno perso alcune (molte?) delle cose che dicevi perché si sono incantati a guardarti e non pesavano le singole cose che tu raccontavi. Le tue discepole donne si sono ricordate molte più cose, sono sicuro, ma non le hanno scritte.
Eri bello anche per chi ti odiava e aveva paura di te.
Così ti hanno condannato alla crocifissione perché era una pena umiliante, dove - nella loro esperienza - ogni bellezza spariva, inghiottita dalla oscenità irreale e brutale di quella morte. Volevano nascondere la tua bellezza: la bellezza pura, semplice; la bellezza che si dona e così ha l'odore di chi ama.
La bontà è diversa, specie se la stacchiamo dalla bellezza.
Se stanno insieme la bontà è l'interfaccia etico della bellezza.
Dal punto di vista dei nostri comportamenti ciò che si vede e si sente bello è pure buono e ciò che nei nostri comportamenti è buono è pure bello.
Ma se stacchiamo bellezza da bontà stacchiamo ciò che si vede ed è inevitabile, è così bellezza (perché si vede!), da ciò che è bontà e così dev'essere, ma spesso non si vede, perché è nascosto, perché opera nel silenzio, nell'ombra.
Così la bontà non si vede e spesso non è bella, e la bellezza (che si vede!) non è buona e quindi mente.
C'è qualcosa di troppo storto in questo.
Tu, semplicemente, ci fai vedere che non è vero.
Tu sei il bel pastore e la tua azione è immediatamente buona. La tua bontà agisce ed è all'ombra casta e semplice della tua bellezza travolgente, lussuosa.
Ma come facciamo a capirlo anche in tutte e tutti noi? come facciamo a distinguere, in noi, la bellezza che si vede e la bontà che si assaggia?
Credo che abbiamo un solo modo, Gesù mio, modo che tu suggerisci e che papa Francesco ci ha suggerito.
Ascoltiamo l'odore.
Se il pastore ha l'odore delle pecore è un buon pastore, e così se la pecora ha l'odore del pastore è una buona pecora. Allora entrambe sono belle, e buone. Sanno di terra, sangue, carne, cibi ed escrementi, acqua e lacrime, sanno di vita.
Altrimenti no.
Così, se sentiamo odori troppo perfetti, troppo puliti, odori che non sporcati dalla vita e dai suoi cibi ed escrementi, allora questi odori perfetti sono demoni e altri mostri, robe ributtanti che ci dividono, ci mostrano la morte come unica strada.
In questo caso bisogna soltanto fuggire, finchè non ci ritrovi.
Tu, Gesù, il bel pastore che ci ama.
ciao r
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