una donna poeta e la carità di alcuni maschi ("tradizionalisti?").
Gesù mio,
ci sono dei versi che ti voglio ricordare, perché tu sei stato il primo ad amarli.
Don Chisciotte
come le corolle del lino,
22 febbraio 1935
Ecco, mio Re, tu sai chi li ha scritti e solo tu sai come hai accolto questa tua amica che si è tolta la vita. Coma hai accolto Antonia Pozzi in nome delle sue poesie e con il canto d'amore che è riuscita a lasciar sbocciare nella sua vita.
Ecco, in questi giorni c'è stata una messa.
Poi, per chi leggerà questa posta metto un articolo dell'Avvenire.
Intanto ricordo a tutti ed a me che una messa è una Eucaristia di preghiera, è un coinvolgerti nella preghiera e nel ringraziamento al Padre perché nella Sua carità e nel Suo amore, che sei tu Gesù Re e lo Spirito, accolga chi è peccatore.
Cioè accolga tutte e tutti, e me in primo luogo, quando saremo morti.
Ma per Antonia Pozzi, che ha scritto la poesia di qui sopra, ho una preghiera particolare.
Perché, Amore mio, chi scrive poesie, belle o brutte che siano, le scrive perché ha una qualche ferita. E questo spetta a tutti noi, forse, perché tutti in qualche momento scriviamo poesie.
Poi restano solo i poeti, diceva qualcuno.
No, poi resta solo chi è stato così ferito dal tuo amore e così profondamente da non poter smettere di amarti anche muovendo la parole a farsi musica davanti a te e per te.
Antonia Pozzi era ed è così e adesso la sua ferita brilla nella luce di Dio ed è diventata anch'essa bellezza, come le tue stimmate.
Per queste stimmete e per la poesia e la bellezza incomprensibili che hai saputo mettere nella tua ferita, bellezza e poesia che ci salva, ti prego adesso per chi si mette a giudicare, dal piccolo punto di vista delle sue paure e delle sue stoltezze, chi ti prega, e quindi ti prego per me innanzitutto.
Aiutaci a fidarci di te ed a lasciarci guidare solo dal tuo cuore e non dalle nostre definizioni politiche e soltanto umane.
ciao
r
Avvenire. Commenti - 18 aprile 2012
ci sono dei versi che ti voglio ricordare, perché tu sei stato il primo ad amarli.
Don Chisciotte
I
Sulla cittàsilenzi improvvisi.
Varchicon un sorriso indefinibile
i confini:
sai le spine di tutte le siepi.
E vai
oltre i fiati caldi degli uomini,
il sonno dopo gli amori,
l’affanno e la prigionia.
Su la petraia che è azzurra
come le corolle del lino,
liberata
canti correndo:
ma chiudi gli occhi
se in fondo al cielo
le ali bianche dei mulini
si dilacerano
al vento.
21 febbraio 1935
Fioche
dalla terra brulla
ti giungono
grida atterrite:
mentre seguita
su l’ala immensa
a rotare
la tua crocefissione.
22 febbraio 1935
Ecco, mio Re, tu sai chi li ha scritti e solo tu sai come hai accolto questa tua amica che si è tolta la vita. Coma hai accolto Antonia Pozzi in nome delle sue poesie e con il canto d'amore che è riuscita a lasciar sbocciare nella sua vita.
Ecco, in questi giorni c'è stata una messa.
Poi, per chi leggerà questa posta metto un articolo dell'Avvenire.
Intanto ricordo a tutti ed a me che una messa è una Eucaristia di preghiera, è un coinvolgerti nella preghiera e nel ringraziamento al Padre perché nella Sua carità e nel Suo amore, che sei tu Gesù Re e lo Spirito, accolga chi è peccatore.
Cioè accolga tutte e tutti, e me in primo luogo, quando saremo morti.
Ma per Antonia Pozzi, che ha scritto la poesia di qui sopra, ho una preghiera particolare.
Perché, Amore mio, chi scrive poesie, belle o brutte che siano, le scrive perché ha una qualche ferita. E questo spetta a tutti noi, forse, perché tutti in qualche momento scriviamo poesie.
Poi restano solo i poeti, diceva qualcuno.
No, poi resta solo chi è stato così ferito dal tuo amore e così profondamente da non poter smettere di amarti anche muovendo la parole a farsi musica davanti a te e per te.
Antonia Pozzi era ed è così e adesso la sua ferita brilla nella luce di Dio ed è diventata anch'essa bellezza, come le tue stimmate.
Per queste stimmete e per la poesia e la bellezza incomprensibili che hai saputo mettere nella tua ferita, bellezza e poesia che ci salva, ti prego adesso per chi si mette a giudicare, dal piccolo punto di vista delle sue paure e delle sue stoltezze, chi ti prega, e quindi ti prego per me innanzitutto.
Aiutaci a fidarci di te ed a lasciarci guidare solo dal tuo cuore e non dalle nostre definizioni politiche e soltanto umane.
ciao
r
Avvenire. Commenti - 18 aprile 2012
Ci vuole della voglia, come si dice dalle mie parti per indicare un impegno spropositato riversato su una cosa. Ad esempio, ci vuole della voglia a polemizzare sulle Messe, sui funerali... Come se non si fosse tutti noi poveracci che in fondo un funerale, di qualunque genere, o una preghiera o qualcosa di simile speriamo di meritarcela e che qualcuno la faccia sul nostro andar via di qui, senza che nessuno stia lì a piantar grane... Invece in quest’epoca malmostosa d’Italia c’è chi ha voglia di polemizzare e ri-polemizzare pure su Messe e funerali.
L’occasione, dopo il caso di Dalla, sarebbe data – a leggere Il Foglio, Il Fatto e il Giornale – da una Messa che per il centenario della nascita di Antonia Pozzi, giovane di talento poetico morta suicida, ha celebrato il cardinale Ravasi. Da punti di vista diversi i tre vogliosi polemisti accusano Ravasi – uno che riuscirebbe pure a farsi amare dal suo boia, tanto è amabile – e con lui la Chiesa di usare due pesi e due misure. Veneziani sul Giornale e Guarini sul Foglio vedono il rischio di creare delle differenze tra i suicidi.
Ma la differenza non la fa Ravasi che celebra la Messa. La fanno coloro che chiedono o non chiedono una Messa in memoria per un morto. Messa che (suicida o no) si può sempre fare. Politi invece schiuma la sua rabbia per una Chiesa sempre più fossile (peccato che i giovani seguono più la Chiesa che i miti di Politi) e spara: per Welby neanche il funerale, per la Pozzi addirittura la Messa. Ma come, mi domando io che teologo non sono e anche un po’ anticlericale poeta e romagnolo, ma una volta gli anticattolici erano gente di cervello fino, che sapeva far distinzioni, anzi che accusava proprio i cattolici di cervello all’ingrosso...
E invece questi – presi dal povero orgasmo di polemizzare – vanno giù grezzi. Intanto, perché se paragonano Welby e la Pozzi significa che intendono pure il primo come suicida, e dunque vanno a ramengo tutte le loro supposte differenze tra eutanasia e suicidio. In secondo luogo, perché volendo parlare (per quanto male) di un soggetto come la Chiesa dovrebbero sapere la differenza tra funerale e Messa di suffragio o in memoria. Infine, anche un bambino comprende la differenza tra un atto compiuto in modo pubblico, dichiarato, con tanto di conferenze stampa e di campagna sponsorizzata da politici e media, e il gesto solitario e disperato di una ragazza da sola in un campo.
Nel primo, c’è evidentemente, coscientemente – e rispettabilmente, aggiungo – un’azione polemica "contro" quel che la Chiesa afferma sul valore della vita. E contro quel che tanti altri malati nella stessa condizione stavano e stanno testimoniando. Nel secondo caso, si ha un offuscamento disperato della voglia di vivere. Forse momentaneo e, comunque, non teoricamente affermato come valore. Entrambi i gesti, è naturale, meritano rispetto e comprensione. Ma la Chiesa non usa due pesi e due misure, come vorrebbero i suoi ansimanti detrattori. Ne usa miliardi. Una misura diversa per ciascuno di noi, accogliendoci e trattandoci ciascuno come persona diversa dalle altre, unica e irripetibile. Arrabbiarsi perché un prete dice una Messa in memoria per l’anima della Pozzi – che all’esistenza di tale anima credeva e che amava Dio – è sinceramente patetico. Se tanto ci tiene, Politi, la faccia dire per l’anima di Welby. Può farlo. È permesso, anzi consigliato, dalla Chiesa. Perché non lo fa?
L’occasione, dopo il caso di Dalla, sarebbe data – a leggere Il Foglio, Il Fatto e il Giornale – da una Messa che per il centenario della nascita di Antonia Pozzi, giovane di talento poetico morta suicida, ha celebrato il cardinale Ravasi. Da punti di vista diversi i tre vogliosi polemisti accusano Ravasi – uno che riuscirebbe pure a farsi amare dal suo boia, tanto è amabile – e con lui la Chiesa di usare due pesi e due misure. Veneziani sul Giornale e Guarini sul Foglio vedono il rischio di creare delle differenze tra i suicidi.
Ma la differenza non la fa Ravasi che celebra la Messa. La fanno coloro che chiedono o non chiedono una Messa in memoria per un morto. Messa che (suicida o no) si può sempre fare. Politi invece schiuma la sua rabbia per una Chiesa sempre più fossile (peccato che i giovani seguono più la Chiesa che i miti di Politi) e spara: per Welby neanche il funerale, per la Pozzi addirittura la Messa. Ma come, mi domando io che teologo non sono e anche un po’ anticlericale poeta e romagnolo, ma una volta gli anticattolici erano gente di cervello fino, che sapeva far distinzioni, anzi che accusava proprio i cattolici di cervello all’ingrosso...
E invece questi – presi dal povero orgasmo di polemizzare – vanno giù grezzi. Intanto, perché se paragonano Welby e la Pozzi significa che intendono pure il primo come suicida, e dunque vanno a ramengo tutte le loro supposte differenze tra eutanasia e suicidio. In secondo luogo, perché volendo parlare (per quanto male) di un soggetto come la Chiesa dovrebbero sapere la differenza tra funerale e Messa di suffragio o in memoria. Infine, anche un bambino comprende la differenza tra un atto compiuto in modo pubblico, dichiarato, con tanto di conferenze stampa e di campagna sponsorizzata da politici e media, e il gesto solitario e disperato di una ragazza da sola in un campo.
Nel primo, c’è evidentemente, coscientemente – e rispettabilmente, aggiungo – un’azione polemica "contro" quel che la Chiesa afferma sul valore della vita. E contro quel che tanti altri malati nella stessa condizione stavano e stanno testimoniando. Nel secondo caso, si ha un offuscamento disperato della voglia di vivere. Forse momentaneo e, comunque, non teoricamente affermato come valore. Entrambi i gesti, è naturale, meritano rispetto e comprensione. Ma la Chiesa non usa due pesi e due misure, come vorrebbero i suoi ansimanti detrattori. Ne usa miliardi. Una misura diversa per ciascuno di noi, accogliendoci e trattandoci ciascuno come persona diversa dalle altre, unica e irripetibile. Arrabbiarsi perché un prete dice una Messa in memoria per l’anima della Pozzi – che all’esistenza di tale anima credeva e che amava Dio – è sinceramente patetico. Se tanto ci tiene, Politi, la faccia dire per l’anima di Welby. Può farlo. È permesso, anzi consigliato, dalla Chiesa. Perché non lo fa?
Davide Rondoni
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