La Chiesa e la sua Verità
Mio Re,
davanti al tuo amore ho bisogno di sottolineare alcune cose che sono entrate oggi nel mio cuore.
La prima è un bellissimo pezzo di Henry de Lubac, scritto nel 1979 in "Meditazioni sulla Chiesa" e da me trovato in un numero di Communio, l'86 del marzo-aprile 1986.
"Il vero credente non è solo nella sua fede. La sua dipendenza dagli altri può anche essere una prova; ma quanto più questa solidarietà è per lui una forza! Egli è entrato col battesimo nella grande famiglia cattolica, condivide con i suoi membri la medesima ed unica speranza, ha inteso lo stesso appello, fa parte del medesimo corpo. È arruolato in questo «esercito in marcia sulla via dove si trova la salvezza, Gesù Cristo» (Clemente Romano, Ad Corinthos) È inserito in questa «Assemblea universale», riunita «da ogni nazione, da ogni tribù, da ogni popolo e da ogni lingua» (Ap 7,9), assemblea che è nel medesimo tempo, una tradizione precisa, un potere ben definito, una realtà concreta, vivente e sviluppantesi nelle condizioni terrene, «una vocazione comune, sostenuta da una organizzazione infinitamente complessa e capillare» (Paul Claudel, un poète regarde la Croix), un vincolo ovunque riconoscibile.
Ineguagliabile ricchezza! Nulla di simile è mai stato realizzato, anzi, neppure concepito dagli uomini". (cit. pag 5)
La seconda è il pezzo di un grande storico non credente (ancora?) di oggi, Peter Brown, che in un suo libro (La formazione dell'Europa cristiana, Laterza 2006), fa vedere una caratteristica della Chiesa Cattolica ai suoi primi secoli.
"La Chiesa cristiana, invece, costituiva un gruppo variegato. Da questo punto di vista , ricalcava in miniatura l'assetto del nuovo impero. Persone di alto e basso rango, uomini e donne si incontravano come uguali in quanto ugualmente soggetti, ora, alla legge dell'unico Dio. Quelli che entravano nelle chiese non potevano non notare di trovarsi in una assemblea disciplinata ... In simili adunanza le differenze sociali non erano cancellate. Ma piuttosto erano gestite con elaborata e visibile cortesia. Se «un uomo oggetto di onori mondani» entrava in una chiesa affollata, il vescovo non doveva assolutamente alzarsi per accoglierlo, perché non si pensasse ch'egli fosse «ossequioso delle persone». Ma il diacono doveva chiedere a qualcuno dei giovani di spostarsi «Perché bisogna pure che essi siano allenati e imparino a cedere il posto alle persone più onorevoli di loro». Se invece entrava un povero o un estraneo indigente le cose andavano in maniera completamente diversa: «Tu, o vescovo, preòccupati di tutto cuore di trovargli un posto, anche se fossi costretto tu stesso a sederti per terra»." (Peter Brown, cit. pag 78)
La terza è la bellissima lettera di risposta di un tuo monaco benedettino, Giovanni Cavalcoli op, alle posizioni di alcune sorelle e fratelli che si vogliono chiamare "tradizionalisti".
Sotto metto l'indirizzo di questo intervento che rilancio perché mi sembra che vada letto e meditato.
Adesso e qui voglio solo riprenderne la conclusione, perché continua bene le cose che ho incontrato in questi ultimi giorni del 2011.
"Chiediamo semmai al Santo Padre che ci spieghi, ci chiarisca, o ci interpreti in modo definitivo, inequivocabile e preciso i punti controversi, dove hanno buon gioco i modernisti, ma facciamolo con fiducia non partendo dalla falsa convinzione che in realtà la continuità non c’è.
E’ vero che la continuità va dimostrata, ma è assolutamente indimostrabile che la continuità non c’è. Se ci pare che non ci sia la continuità non è perché essa oggettivamente non c’è, ma è perché siamo noi, soggettivamente, che non capiamo. Altrimenti, lo ripeto ancora una volta, dovremmo concludere che Cristo ci ha ingannati. Vogliamo giungere a questa conclusione? Vogliamo noi correggere la Chiesa che è uscita dalla verità? Ma allora chi è infallibile? La Chiesa o lo siamo noi?"
in ... http://www.riscossacristiana.it/index.php?option=com_content&view=article&id=1240:xxxxx&catid=61:vita-della-chiesa&Itemid=123
Mio Re, che cosa voglio dire?
Voglio ringraziarti del dono della tua Chiesa e di avercela donata in questa "immensa" varietà di esperienze, ma dove al centro ci sei sempre tu, Amico e Re.
Devo ringraziarti perché è proprio questa "immensa diversità" e questa articolata composizione a richiedere a ciascuno di noi una attenzione particolare alla "pazienza" ed alla "umiltà".
Non è sempre facile averla, anzi, spesso è molto più facile non averla.
Ma è per questo che ci hai dato la Chiesa.
Per seguirti in umiltà pazienza e amore.
ciao
r
davanti al tuo amore ho bisogno di sottolineare alcune cose che sono entrate oggi nel mio cuore.
La prima è un bellissimo pezzo di Henry de Lubac, scritto nel 1979 in "Meditazioni sulla Chiesa" e da me trovato in un numero di Communio, l'86 del marzo-aprile 1986.
"Il vero credente non è solo nella sua fede. La sua dipendenza dagli altri può anche essere una prova; ma quanto più questa solidarietà è per lui una forza! Egli è entrato col battesimo nella grande famiglia cattolica, condivide con i suoi membri la medesima ed unica speranza, ha inteso lo stesso appello, fa parte del medesimo corpo. È arruolato in questo «esercito in marcia sulla via dove si trova la salvezza, Gesù Cristo» (Clemente Romano, Ad Corinthos) È inserito in questa «Assemblea universale», riunita «da ogni nazione, da ogni tribù, da ogni popolo e da ogni lingua» (Ap 7,9), assemblea che è nel medesimo tempo, una tradizione precisa, un potere ben definito, una realtà concreta, vivente e sviluppantesi nelle condizioni terrene, «una vocazione comune, sostenuta da una organizzazione infinitamente complessa e capillare» (Paul Claudel, un poète regarde la Croix), un vincolo ovunque riconoscibile.
Ineguagliabile ricchezza! Nulla di simile è mai stato realizzato, anzi, neppure concepito dagli uomini". (cit. pag 5)
La seconda è il pezzo di un grande storico non credente (ancora?) di oggi, Peter Brown, che in un suo libro (La formazione dell'Europa cristiana, Laterza 2006), fa vedere una caratteristica della Chiesa Cattolica ai suoi primi secoli.
"La Chiesa cristiana, invece, costituiva un gruppo variegato. Da questo punto di vista , ricalcava in miniatura l'assetto del nuovo impero. Persone di alto e basso rango, uomini e donne si incontravano come uguali in quanto ugualmente soggetti, ora, alla legge dell'unico Dio. Quelli che entravano nelle chiese non potevano non notare di trovarsi in una assemblea disciplinata ... In simili adunanza le differenze sociali non erano cancellate. Ma piuttosto erano gestite con elaborata e visibile cortesia. Se «un uomo oggetto di onori mondani» entrava in una chiesa affollata, il vescovo non doveva assolutamente alzarsi per accoglierlo, perché non si pensasse ch'egli fosse «ossequioso delle persone». Ma il diacono doveva chiedere a qualcuno dei giovani di spostarsi «Perché bisogna pure che essi siano allenati e imparino a cedere il posto alle persone più onorevoli di loro». Se invece entrava un povero o un estraneo indigente le cose andavano in maniera completamente diversa: «Tu, o vescovo, preòccupati di tutto cuore di trovargli un posto, anche se fossi costretto tu stesso a sederti per terra»." (Peter Brown, cit. pag 78)
La terza è la bellissima lettera di risposta di un tuo monaco benedettino, Giovanni Cavalcoli op, alle posizioni di alcune sorelle e fratelli che si vogliono chiamare "tradizionalisti".
Sotto metto l'indirizzo di questo intervento che rilancio perché mi sembra che vada letto e meditato.
Adesso e qui voglio solo riprenderne la conclusione, perché continua bene le cose che ho incontrato in questi ultimi giorni del 2011.
"Chiediamo semmai al Santo Padre che ci spieghi, ci chiarisca, o ci interpreti in modo definitivo, inequivocabile e preciso i punti controversi, dove hanno buon gioco i modernisti, ma facciamolo con fiducia non partendo dalla falsa convinzione che in realtà la continuità non c’è.
E’ vero che la continuità va dimostrata, ma è assolutamente indimostrabile che la continuità non c’è. Se ci pare che non ci sia la continuità non è perché essa oggettivamente non c’è, ma è perché siamo noi, soggettivamente, che non capiamo. Altrimenti, lo ripeto ancora una volta, dovremmo concludere che Cristo ci ha ingannati. Vogliamo giungere a questa conclusione? Vogliamo noi correggere la Chiesa che è uscita dalla verità? Ma allora chi è infallibile? La Chiesa o lo siamo noi?"
in ... http://www.riscossacristiana.it/index.php?option=com_content&view=article&id=1240:xxxxx&catid=61:vita-della-chiesa&Itemid=123
Mio Re, che cosa voglio dire?
Voglio ringraziarti del dono della tua Chiesa e di avercela donata in questa "immensa" varietà di esperienze, ma dove al centro ci sei sempre tu, Amico e Re.
Devo ringraziarti perché è proprio questa "immensa diversità" e questa articolata composizione a richiedere a ciascuno di noi una attenzione particolare alla "pazienza" ed alla "umiltà".
Non è sempre facile averla, anzi, spesso è molto più facile non averla.
Ma è per questo che ci hai dato la Chiesa.
Per seguirti in umiltà pazienza e amore.
ciao
r
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