Il dono e la libertà...
... la responsabilità e l'amore
Tu ci vieni a cercare con semplicità, Signore.
Nella parabola di Gesù, poco prima della sua passione e morte, e della sua risurrezione, tu non sei un personaggio strano, uno che deve essere capito.
Sei semplice.
Fai un dono a qualcuno che tu scegli e poi gli chiedi conto di quel dono. Davanti a tutti.
Non vuoi niente indietro, neppure ci vuoi guadagnare.
Vuoi sapere se noi ci abbiamo guadagnato dal tuo dono.
Semplice: tu ci fai un dono che noi possiamo usare bene, a nostro vantaggio e non solo. Poi ci chiedi "che cosa ne hai fatto del mio dono?".
Ogni dono è una libertà. Tanto a fare il dono, quanto a riceverlo. E ogni libertà significa responsabilità. Chi dona e chi riceve sono in un rapporto di mutua responsabilità, perché c'è stato un dono.
Di questo "chiedi conto".
Ascoltiamo Gesù di Nazareth, che ti chiama "Padre" e ti ama più di se stesso.
Mt 25,14-30
«Avverrà come a un uomo che, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni. A uno diede cinque talenti, a un altro due, a un altro uno, secondo le capacità di ciascuno; poi partì.
Subito colui che aveva ricevuto cinque talenti andò a impiegarli, e ne guadagnò altri cinque. Così anche quello che ne aveva ricevuti due, ne guadagnò altri due. Colui invece che aveva ricevuto un solo talento, andò a fare una buca nel terreno e vi nascose il denaro del suo padrone.
Dopo molto tempo il padrone di quei servi tornò e volle regolare i conti con loro.
Si presentò colui che aveva ricevuto cinque talenti e ne portò altri cinque, dicendo: “Signore, mi hai consegnato cinque talenti; ecco, ne ho guadagnati altri cinque”. “Bene, servo buono e fedele – gli disse il suo padrone –, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone”.
Si presentò poi colui che aveva ricevuto due talenti e disse: “Signore, mi hai consegnato due talenti; ecco, ne ho guadagnati altri due”. “Bene, servo buono e fedele – gli disse il suo padrone –, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone”.
Si presentò infine anche colui che aveva ricevuto un solo talento e disse: “Signore, so che sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso. Ho avuto paura e sono andato a nascondere il tuo talento sotto terra: ecco ciò che è tuo”.
Il padrone gli rispose: “Servo malvagio e pigro, tu sapevi che mieto dove non ho seminato e raccolgo dove non ho sparso; avresti dovuto affidare il mio denaro ai banchieri e così, ritornando, avrei ritirato il mio con l’interesse. Toglietegli dunque il talento, e datelo a chi ha i dieci talenti. Perché a chiunque ha, verrà dato e sarà nell’abbondanza; ma a chi non ha, verrà tolto anche quello che ha. E il servo inutile gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti”».
«Perché a chiunque ha, verrà dato e sarà nell’abbondanza; ma a chi non ha, verrà tolto anche quello che ha».
Ma di che cosa si parla?
Di "talenti"? Il talento è una misura di peso, usata in termini monetari, oro o argento, e un talento vale una enormità. Cose tipo "40 anni di lavoro di un salariato agricolo", in un'epoca dove 40 anni di lavoro non li faceva nessuno, perché si viveva fino ai 35 anni, di media e chi chi viveva molto di più non era "salariato agricolo".
Quindi si parla di moneta e di oro e argento?
Non proprio, perchè il padrone della storia ci rimette otto talenti e ci guadagna due collaboratori e perde uno che non lo ama.
320 anni di salario di un bracciante agricolo contro due collaboratori per circa dieci anni, se andava bene.
Chiaramente non si parla di soldi.
Allora di che cosa si parla?
Che cosa è questa "cosa", questa "qualità" che ha e avrà sempre più solo chi ce l'ha già, e chi non ce l'ha perde anche quello che di questa qualità crede di avere?
Il padrone da ai suoi tre servi dei talenti in misura calcolata, a opinione del padrone è ovvio, «secondo le capacità di ciascuno».
Per cui ciascuno riceve ciò di cui può rispondere.
I servi buoni e fedeli raddoppiano ciò che hanno ricevuto. Il servo malvagio e pigro nasconde il talento e lo impoverisce, perché una moneta, un peso d'oro, va utilizzato e non nascosto per terra.
Ciò che il padrone apprezza è la fedeltà dei servi alla opinione che lui ha di loro e delle loro capacità. I servi accettano il dono e fanno di tutto per dimostrare che il padrone aveva ragione a fidarsi di loro.
Questa "assunzione di responsabilità" rispetto al dono ricevuto è ciò che segna nel bene il rapporto tra padrone e servi fedeli.
Invece il terzo servo è nell'ambiguità e nella menzogna. Non volveva il talento e non si fida del padrone. Ma accetta il talento e quindi si assume la responsabilità del dono. Ma poi si comporta come se non l'avesse ricevuto. Lo nasconde sotto terra, lo rende inutile.
Questo servo nega la sua responsabilità nel dono avuto. Non lo voleva, e vuol tirarsene fuori. Allora lo nega nel modo peggiore, lo nasconde in modo che neppure lo vede più, neppure si deve ricordare di quella ferita: «andò a fare una buca nel terreno e vi nascose il denaro del suo padrone». Quel talento non è roba sua, ma del padrone e lui gliela restituirà così come l'ha ricevuta.
C'è paura e disprezzo, insieme.
Il padrone reagisce correttamente. Premia i servi che lo premiano con la loro fedeltà e punisce il servo che lo offende con il suo rifiuto del dono e della responsabilità che il dono accettato comporta.
Ma come ci riguarda questa storia?
In che modo noi, umani che viviamo qui sulla Terra in questa "aiuola che ci fa tanto feroci", siamo responsabili davanti all'Eterno, e di che cosa? sopratutto.
I talenti ricevuti. Ne hanno ricevuto 5 o 2 e ne ottengono 10 o 4.
Se si parlasse di denaro sembrerebbe la lode del mercato finanziario, cosa che allora - al primo secolo dopo Cristo, e ancora prima della sua morte - era davvero solo nella mente di D**, perché speculazioni ce n'erano, certamente, e audaci pure. Ma i ricavi che oggi vengono ottenuti sui derivati erano totalmente lontani da ogni realtà.
Allora di che cosa parli, tu, Gesù di Nazareth?
Di che cosa, i contadini, i pastori, i pescatori, le prostitute, le donne dei ceti alti, le donne "single" più o meno ricche, i farisei, gli scribi, i pubblicani, e soldati e avventurieri di ogni genere, che cosa hanno capito questi che erano i tuoi ascoltatori?
Che ciascuno di noi "riceve" delle capacità e dei "doni".
Le due cose sono relazionate, ma non sempre e non in modo diretto.
I genitori, le famiglie, i ceti sociali di provenienza, i redditi paterni e materni, i consigli, le narrazioni, le culture ricevute nelle primissime fasi della vita... ma tutto questo anche se il mio paese era in guerra o in pace, se sono nato in un territorio ecologicamente pulito (l'Engadina, tanto per dire...) o ecologicamente sporco (Flint o Taranto... tanto per dire... ma c'è di tutto in giro... tipo Porto Vesme...)
o dove ci sono equilibri sociali protetti e solidali (come in Svezia, per dire) o solo squilibri sociali regolati quasi solo dalla violenza (come in America Latina o in Sicilia, o a Napoli per quello che ne so io)... e così via andando avanti ad elencare le cose di cui e in cui una persona umana si trova a vivere.
La mia vita condiziona e costruisce le mie capacità e ciò in cui mi trovo immerso è qualcosa che ha in sè cose e qualità che non so definire, ma che apprezzo, che mi piacciono.
Ognuna e ognuno di noi è portatrice e portatore di una particolare serie di queste "capacità" e doni. Dove, chiaramente - cioè in modo intuitivo per ciascuno di noi - la possibilità di apprezzare e riceve ed essere responsabile dei doni in cui vivo è legata alle mie capacità e alla vita che mi condiziona ed è attorno a me.
E se della vita che gira intorno a me non sono quasi mai direttamente responsabile - ma indirettamente sì... quanti dei siriani e delle siriane che oggi soffrono la feroce guerra civile nel loro paese non stanno anche pensando che avrebbero potuto agire per tempo contro la dittatura di Assad e del partito Baath e, invece, non l'hanno fatto - per le mie capacità personali sono sempre direttamente responsabile perchè esse non sono MAI, reddito e cultura, ma SEMPRE E SOLO amore, cioè accoglienza e perdono.
Gesù ci invita a moltiplicare l'amore che abbiamo ricevuto.
Ne ho ricevuto per cinque talenti? Beh, altri cinque talenti d'amore è proprio il minimo («Bene, servo buono e fedele – gli disse il suo padrone –, sei stato fedele nel poco») che io possa fare.
Ne ho ricevuto solo per un talento?
A parte che è sempre tantissimo e c'è in giro chi ha ricevuto di meno, ma se nascondo l'amore che ho ricevuto sotto terra il risultato sarà soltanto che io avrò sempre meno amore e, alla fine, scoprirò di aver perduto anche l'amore che credevo di avere.
L'amore si moltiplica amando, e con audacia maggiore e molto più coraggio di chi è broker finanziario e cacciatore di guadagni monetari.
Chi cerca l'amore vende sempre tutto quello che ha per conquistare quell'unica bellezza che ha preso il suo cuore. E facendo così, ogni volta scopre che ha vinto e guadagnato molto più amore di quello che aveva messo in gioco.
Perché Qualcun* ha giocato insieme a me, e mi ha aiutato a vincere.
Senza barare, perché l'amore è semplice e non bara mai.
L'amore è quel dono che si vince solo perdendolo.
ciao r
Tu ci vieni a cercare con semplicità, Signore.
Nella parabola di Gesù, poco prima della sua passione e morte, e della sua risurrezione, tu non sei un personaggio strano, uno che deve essere capito.
Sei semplice.
Fai un dono a qualcuno che tu scegli e poi gli chiedi conto di quel dono. Davanti a tutti.
Non vuoi niente indietro, neppure ci vuoi guadagnare.
Vuoi sapere se noi ci abbiamo guadagnato dal tuo dono.
Semplice: tu ci fai un dono che noi possiamo usare bene, a nostro vantaggio e non solo. Poi ci chiedi "che cosa ne hai fatto del mio dono?".
Ogni dono è una libertà. Tanto a fare il dono, quanto a riceverlo. E ogni libertà significa responsabilità. Chi dona e chi riceve sono in un rapporto di mutua responsabilità, perché c'è stato un dono.
Di questo "chiedi conto".
Ascoltiamo Gesù di Nazareth, che ti chiama "Padre" e ti ama più di se stesso.
Mt 25,14-30
«Avverrà come a un uomo che, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni. A uno diede cinque talenti, a un altro due, a un altro uno, secondo le capacità di ciascuno; poi partì.
Subito colui che aveva ricevuto cinque talenti andò a impiegarli, e ne guadagnò altri cinque. Così anche quello che ne aveva ricevuti due, ne guadagnò altri due. Colui invece che aveva ricevuto un solo talento, andò a fare una buca nel terreno e vi nascose il denaro del suo padrone.
Dopo molto tempo il padrone di quei servi tornò e volle regolare i conti con loro.
Si presentò colui che aveva ricevuto cinque talenti e ne portò altri cinque, dicendo: “Signore, mi hai consegnato cinque talenti; ecco, ne ho guadagnati altri cinque”. “Bene, servo buono e fedele – gli disse il suo padrone –, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone”.
Si presentò poi colui che aveva ricevuto due talenti e disse: “Signore, mi hai consegnato due talenti; ecco, ne ho guadagnati altri due”. “Bene, servo buono e fedele – gli disse il suo padrone –, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone”.
Si presentò infine anche colui che aveva ricevuto un solo talento e disse: “Signore, so che sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso. Ho avuto paura e sono andato a nascondere il tuo talento sotto terra: ecco ciò che è tuo”.
Il padrone gli rispose: “Servo malvagio e pigro, tu sapevi che mieto dove non ho seminato e raccolgo dove non ho sparso; avresti dovuto affidare il mio denaro ai banchieri e così, ritornando, avrei ritirato il mio con l’interesse. Toglietegli dunque il talento, e datelo a chi ha i dieci talenti. Perché a chiunque ha, verrà dato e sarà nell’abbondanza; ma a chi non ha, verrà tolto anche quello che ha. E il servo inutile gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti”».
«Perché a chiunque ha, verrà dato e sarà nell’abbondanza; ma a chi non ha, verrà tolto anche quello che ha».
Ma di che cosa si parla?
Di "talenti"? Il talento è una misura di peso, usata in termini monetari, oro o argento, e un talento vale una enormità. Cose tipo "40 anni di lavoro di un salariato agricolo", in un'epoca dove 40 anni di lavoro non li faceva nessuno, perché si viveva fino ai 35 anni, di media e chi chi viveva molto di più non era "salariato agricolo".
Quindi si parla di moneta e di oro e argento?
Non proprio, perchè il padrone della storia ci rimette otto talenti e ci guadagna due collaboratori e perde uno che non lo ama.
320 anni di salario di un bracciante agricolo contro due collaboratori per circa dieci anni, se andava bene.
Chiaramente non si parla di soldi.
Allora di che cosa si parla?
Che cosa è questa "cosa", questa "qualità" che ha e avrà sempre più solo chi ce l'ha già, e chi non ce l'ha perde anche quello che di questa qualità crede di avere?
Il padrone da ai suoi tre servi dei talenti in misura calcolata, a opinione del padrone è ovvio, «secondo le capacità di ciascuno».
Per cui ciascuno riceve ciò di cui può rispondere.
I servi buoni e fedeli raddoppiano ciò che hanno ricevuto. Il servo malvagio e pigro nasconde il talento e lo impoverisce, perché una moneta, un peso d'oro, va utilizzato e non nascosto per terra.
Ciò che il padrone apprezza è la fedeltà dei servi alla opinione che lui ha di loro e delle loro capacità. I servi accettano il dono e fanno di tutto per dimostrare che il padrone aveva ragione a fidarsi di loro.
Questa "assunzione di responsabilità" rispetto al dono ricevuto è ciò che segna nel bene il rapporto tra padrone e servi fedeli.
Invece il terzo servo è nell'ambiguità e nella menzogna. Non volveva il talento e non si fida del padrone. Ma accetta il talento e quindi si assume la responsabilità del dono. Ma poi si comporta come se non l'avesse ricevuto. Lo nasconde sotto terra, lo rende inutile.
Questo servo nega la sua responsabilità nel dono avuto. Non lo voleva, e vuol tirarsene fuori. Allora lo nega nel modo peggiore, lo nasconde in modo che neppure lo vede più, neppure si deve ricordare di quella ferita: «andò a fare una buca nel terreno e vi nascose il denaro del suo padrone». Quel talento non è roba sua, ma del padrone e lui gliela restituirà così come l'ha ricevuta.
C'è paura e disprezzo, insieme.
Il padrone reagisce correttamente. Premia i servi che lo premiano con la loro fedeltà e punisce il servo che lo offende con il suo rifiuto del dono e della responsabilità che il dono accettato comporta.
Ma come ci riguarda questa storia?
In che modo noi, umani che viviamo qui sulla Terra in questa "aiuola che ci fa tanto feroci", siamo responsabili davanti all'Eterno, e di che cosa? sopratutto.
Gesù mio, Sposo di ogni felicità, aiutami, perché questo passaggio è molto difficile.
Qui, infatti, si parla d'amore.
Cosa moltiplicano i due servi fedeli?I talenti ricevuti. Ne hanno ricevuto 5 o 2 e ne ottengono 10 o 4.
Se si parlasse di denaro sembrerebbe la lode del mercato finanziario, cosa che allora - al primo secolo dopo Cristo, e ancora prima della sua morte - era davvero solo nella mente di D**, perché speculazioni ce n'erano, certamente, e audaci pure. Ma i ricavi che oggi vengono ottenuti sui derivati erano totalmente lontani da ogni realtà.
Allora di che cosa parli, tu, Gesù di Nazareth?
Di che cosa, i contadini, i pastori, i pescatori, le prostitute, le donne dei ceti alti, le donne "single" più o meno ricche, i farisei, gli scribi, i pubblicani, e soldati e avventurieri di ogni genere, che cosa hanno capito questi che erano i tuoi ascoltatori?
Che ciascuno di noi "riceve" delle capacità e dei "doni".
Le due cose sono relazionate, ma non sempre e non in modo diretto.
I genitori, le famiglie, i ceti sociali di provenienza, i redditi paterni e materni, i consigli, le narrazioni, le culture ricevute nelle primissime fasi della vita... ma tutto questo anche se il mio paese era in guerra o in pace, se sono nato in un territorio ecologicamente pulito (l'Engadina, tanto per dire...) o ecologicamente sporco (Flint o Taranto... tanto per dire... ma c'è di tutto in giro... tipo Porto Vesme...)
o dove ci sono equilibri sociali protetti e solidali (come in Svezia, per dire) o solo squilibri sociali regolati quasi solo dalla violenza (come in America Latina o in Sicilia, o a Napoli per quello che ne so io)... e così via andando avanti ad elencare le cose di cui e in cui una persona umana si trova a vivere.
La mia vita condiziona e costruisce le mie capacità e ciò in cui mi trovo immerso è qualcosa che ha in sè cose e qualità che non so definire, ma che apprezzo, che mi piacciono.
Ognuna e ognuno di noi è portatrice e portatore di una particolare serie di queste "capacità" e doni. Dove, chiaramente - cioè in modo intuitivo per ciascuno di noi - la possibilità di apprezzare e riceve ed essere responsabile dei doni in cui vivo è legata alle mie capacità e alla vita che mi condiziona ed è attorno a me.
E se della vita che gira intorno a me non sono quasi mai direttamente responsabile - ma indirettamente sì... quanti dei siriani e delle siriane che oggi soffrono la feroce guerra civile nel loro paese non stanno anche pensando che avrebbero potuto agire per tempo contro la dittatura di Assad e del partito Baath e, invece, non l'hanno fatto - per le mie capacità personali sono sempre direttamente responsabile perchè esse non sono MAI, reddito e cultura, ma SEMPRE E SOLO amore, cioè accoglienza e perdono.
Gesù ci invita a moltiplicare l'amore che abbiamo ricevuto.
Ne ho ricevuto per cinque talenti? Beh, altri cinque talenti d'amore è proprio il minimo («Bene, servo buono e fedele – gli disse il suo padrone –, sei stato fedele nel poco») che io possa fare.
Ne ho ricevuto solo per un talento?
A parte che è sempre tantissimo e c'è in giro chi ha ricevuto di meno, ma se nascondo l'amore che ho ricevuto sotto terra il risultato sarà soltanto che io avrò sempre meno amore e, alla fine, scoprirò di aver perduto anche l'amore che credevo di avere.
Chi cerca l'amore vende sempre tutto quello che ha per conquistare quell'unica bellezza che ha preso il suo cuore. E facendo così, ogni volta scopre che ha vinto e guadagnato molto più amore di quello che aveva messo in gioco.
Perché Qualcun* ha giocato insieme a me, e mi ha aiutato a vincere.
Senza barare, perché l'amore è semplice e non bara mai.
L'amore è quel dono che si vince solo perdendolo.
ciao r
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