Sotto Natale.

.... pare, Gesù amore, che sotto il tuo Natale siamo più buoni.

 


Pare, così si dice, ma non è dimostrato.
Invece è vero che il ricordo della tua nascita si accompagna, sempre, alla speranza del tuo ritorno che si avvicina.
Allora non siamo più buoni, ma sicuramente abbiamo più speranza e la speranza quando è un fuoco vivo ci rende capaci di amare.
Ma che cosa significa "amare".
Credo, amore mio, che significhi accettare la vita e il momento che viene. Accettare che la mia vita è solo un momento nel grande accadere in cui tutte e tutti siamo inseriti. Grande accadere che porta indelebile il segno delle tue attenzioni e del tuo amore.
Allora, in questa speranza, amare significa essere consapevoli della propria vita e quindi del ruolo, delle cose, che dobbiamo fare. Amare è vivere i nostri lavori del e nel tempo in cui viviamo.
Come dici tu, molto meglio di me.





«Non dite voi: Ci sono ancora quattro mesi e poi viene la mietitura? Ecco, io vi dico: Levate i vostri occhi e guardate i campi che già biondeggiano per la mietitura. E chi miete riceve salario e raccoglie frutto per la vita eterna, perché ne goda insieme chi semina e chi miete. Qui infatti si realizza il detto: uno semina e uno miete. Io vi ho mandati a mietere ciò che voi non avete lavorato; altri hanno lavorato e voi siete subentrati nel loro lavoro». (Gv 4, 35-38)
 




Noi dobbiamo fare solo il lavoro che ci spetta. Raccogliere ciò che altri hanno seminato e seminare affinché altri raccolgano. Perché amare è anche farsi carico, accogliere, anche chi non è ancora al mondo, rispettando il lavoro e le attese di tutte coloro che sono state al mondo prima di noi.
Perché questo che dice benissimo la preghiera che il tuo compagno Francesco ha ricordato stamani ai cardinali della Curia romana e a tutte e tutti noi.
Vivere significa fecondare speranza e raccogliere vita dalle speranze fecondate prima di noi.
Solo tu, amore santo, vedi l'insieme.
Noi vediamo solo la nostra fatica e le nostre gioie. Ed è bello così.
Si chiama amore.






"La misericordia non è un sentimento passeggero, ma è la sintesi della Buona Notizia, è la scelta di chi vuole avere i sentimenti del Cuore di Gesù, di chi vuol seguire seriamente il Signore che ci chiede: «Siate misericordiosi come il Padre vostro» (Lc 6,36; cfr Mt 5,48). Afferma padre Ermes Ronchi: «Misericordia: scandalo per la giustizia, follia per l’intelligenza, consolazione per noi debitori. Il debito di esistere, il debito di essere amati si paga solo con la misericordia».
Dunque, sia la misericordia a guidare i nostri passi, a ispirare le nostre riforme, a illuminare le nostre decisioni. Sia essa la colonna portante del nostro operare. Sia essa a insegnarci quando dobbiamo andare avanti e quando dobbiamo compiere un passo indietro. Sia essa a farci leggere la piccolezza delle nostre azioni nel grande progetto di salvezza di Dio e nella maestosità e misteriosità della sua opera.
Per aiutarci a capire questo, lasciamoci incantare dalla preghiera stupenda che viene comunemente attribuita al Beato Oscar Arnulfo Romero, ma che fu pronunciata per la prima volta dal Cardinale John Dearden:
Ogni tanto ci aiuta il fare un passo indietro e vedere da lontano.
Il Regno non è solo oltre i nostri sforzi, è anche oltre le nostre visioni.
Nella nostra vita riusciamo a compiere solo una piccola parte
di quella meravigliosa impresa che è l’opera di Dio.
Niente di ciò che noi facciamo è completo.
Che è come dire che il Regno sta più in là di noi stessi.
Nessuna affermazione dice tutto quello che si può dire.
Nessuna preghiera esprime completamente la fede.
Nessun credo porta la perfezione.
Nessuna visita pastorale porta con sé tutte le soluzioni.
Nessun programma compie in pieno la missione della Chiesa.
Nessuna meta né obbiettivo raggiunge la completezza.
Di questo si tratta:
noi piantiamo semi che un giorno nasceranno.
Noi innaffiamo semi già piantati, sapendo che altri li custodiranno.
Mettiamo le basi di qualcosa che si svilupperà.
Mettiamo il lievito che moltiplicherà le nostre capacità.
Non possiamo fare tutto,
però dà un senso di liberazione l’iniziarlo.
Ci dà la forza di fare qualcosa e di farlo bene.
Può rimanere incompleto, però è un inizio, il passo di un cammino.
Una opportunità perché la grazia di Dio entri
e faccia il resto.
Può darsi che mai vedremo il suo compimento,
ma questa è la differenza tra il capomastro e il manovale.
Siamo manovali, non capomastri,
servitori, non messia.
Noi siamo profeti di un futuro che non ci appartiene".
(http://w2.vatican.va/content/francesco/it/speeches/2015/december/documents/papa-francesco_20151221_curia-romana.html .... Dal discorso di papa Francesco per la presentazione degli auguri alla Curia Romana)




ciao r


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