24 Luglio 2011, XVI domenica del tempo ordinario

"In quel tempo Gesù disse ai suoi discepoli: «Il regno dei cieli è simile a un tesoro nascosto nel campo; un uomo lo trova e lo nasconde; poi va, pieno di gioia, vende tutti i suoi averi e compra quel campo.
Il regno dei cieli è simile anche a un mercante che va in cerca di perle preziose; trovata una perla di grande valore, va, vende tutti i suoi averi e la compra.
Ancora, il regno dei cieli è simile a una rete gettata nel mare, che raccoglie ogni genere di pesci. Quando è piena, i pescatori la tirano a riva, si mettono a sedere, raccolgono i pesci buoni nei canestri e buttano via i cattivi. Così sarà alla fine del mondo. Verranno gli angeli e separeranno i cattivi dai buoni e li getteranno nella fornace ardente, dove sarà pianto e stridore di denti.
Avete compreso tutte queste cose?». Gli risposero: «Sì». Ed egli disse loro: «Per questo ogni scriba, divenuto discepolo del regno dei cieli, è simile a un padrone di casa che estrae dal suo tesoro cose nuove e cose antiche»."
(Mt 13,44-52)

















«Per questo ogni scriba, divenuto discepolo del regno dei cieli, è simile a un padrone di casa che estrae dal suo tesoro cose nuove e cose antiche».






Kainà kai palaià. Lo scriba convertito al regno dei cieli tira fuori “cose nuove e cose antiche” dal suo tesoro. Le cose che Gesù ci chiede se abbiamo capito.
Ma quali sono queste cose? 

Anzitutto, noi siamo questo scriba, che è stato istruito al Regno dei cieli.
“Che è divenuto discepolo” dice la traduzione Cei, ed il senso è certamente questo; ma il testo greco è più significativo, perchè usa un verbo che significa “istruire” e lo usa in una forma passiva, chiusa e definita: “essendo stato istruito” al regno dei cieli.
Non si arriva al Regno per propria volontà o propria scelta; non andiamo al Padre perchè siamo troppo bravi e troppo belli.
Dipende se troviamo il tesoro nel campo e se, dopo che ci siamo resi conto del tesoro, vendiamo tutto quello che abbiamo per essere la gioia di comprare quel campo dove c’è quel tesoro.
Dipende se sconvolgiamo tutta la nostra vita di cercatori di perle, vendendo tutto quel che abbiamo, per avere la gioia di comprare quella sola perla così preziosa.
Occorre avere familiarità con i campi e con le perle. Se non abbiamo mai visto un campo (agro in greco, è il campo del lavoro agricolo) in vita nostra difficilmente possiamo trovare il tesoro. Se nulla sappiamo delle perle non possiamo capire che “quella perla lì” è proprio la perla più preziosa al mondo e, quindi, c'è totalmente impedito di vendere tutto quel che siamo, come mercanti di perle, per avere la gioia di possedere l’unica perla che vale la pena di possedere.
Dobbiamo cercare Dio, altrimenti lui non ci trova. 
Dobbiamo sempre tornare da Dio, ma dobbiamo cercarlo e tornare da lui, naturalmente sempre come quel figlio prodigo e dissoluto che ciascuno di noi è, e sapendo sempre che Dio stesso ha lasciato il suo seme dentro di noi, perché cresca, e Dio sa che questo seme diventerà la pianta più grande ed importante dell’orto.
Dobbiamo lasciarci sedurre da Dio, come il mercante di perle si lascia sedurre dalla perla incantevole o l’uomo che conosce i campi dal tesoro nascosto nel campo.
Perché Dio conosce i pesci che la sua Rete raccoglie, e li conosce ad uno ad uno; e lui li vuole salvare tutti. Ma il pesce deve collaborare affinchè Dio lo faccia diventare qualcuno dei ta kalà, dei belli e buoni. 
Ciascun pesce deve chiederglielo, deve cercare Dio e supplicarlo di farsi “istruire” al regno dei cieli.
È quello che ci ricorda Paolo.
“Tutto concorre al bene, per quelli che amano Dio, per coloro che sono stati chiamati secondo il suo disegno.” 
Ma il fatto, la certezza, che nella nostra vita “tutto” concorre al bene, significa che dobbiamo essere docili al cuore di Dio. Cioè dobbiamo cercare e seguire nella nostra vita “ta kalà” le cose belle e buone, dobbiamo diventare esperti della “sapienza” che Dio solo ci dona. 
Quella sapienza che è capace di distinguere e discernere nelle cose del mondo, e dentro di noi, ciò che è buono da ciò che è cattivo. 
Dobbiamo abituarci a discernere, pregando e pregando insieme. 
Perché non si discerne mai da soli e ,sopratutto, non si discerne perché ci siamo laureati in “discernimento”. 
Si diventa capaci di discernimento solo perché ci si affida a Dio, solo perchè ci si mette in rapporto a Dio e si diventa docili nel cuore verso la sua volontà. 
Così è solo la preghiera e la preghiera comunitaria che ci fa diventare “scriba che sono stati istruiti al regno dei cieli”. 
Quella preghiera comunitaria che si fa soltanto lavorando i campi, altrimenti il tesoro non lo si trova mai, di sicuro, o andando in giro a guardare perle, a cercarle, a frugare nei bazar e nei mercati più assurdi cercando perle. Altrimenti quell’unica perla così preziosa non la troviamo mai.
Bisogna sporcarsi le mani con “l’opera di Dio”, con noi, sue figlie e suoi figli, perché Dio ci possa trovare e, dopo che ci ha trovati, vendere tutto quello che ha per comprarci.
Per comprare proprio me, questa perla così preziosa ... secondo lui.
Credo che questa di Gesù sia una parabola sull’affidamento reciproco di noi a Dio e di Dio a noi.
Credo che queste tre parabole siano una sola parabola sul fatto che “essere cristiani” non solo è la cosa più bella che possa capitarci, ma sopratutto è la più facile: basta lasciarsi sedurre. 
Basta lasciarci trovare da Dio. 
E poi, come ci ha trovato, questo Dio Padre Madre è così folle da vendere tutto quel che ha per comprare proprio me.
Così non siamo solo noi che dobbiamo essere capaci di affidarci a Dio, ma dobbiamo essere capaci di accettare il fatto, la realtà d’amore, che Dio, come ci trova ci compra e ci seduce. 
E così Lui, l’Eterno, si affida totalmente a noi. Prende casa a casa nostra e sta qui. 
Felice del suo e nostro amore.
Ecco, quando siamo capaci di essere questa umiltà d’amore allora siamo il tesoro e la perla da cui Dio stesso estrae cose nuove e cose antiche. 
Allora siamo quell’amore di Dio da cui Dio stesso estrae amore.
Il regno dei cieli, qui, in terra, tra noi.


ciao

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